So Wine So Food è la rivista dedicata all’enogastronomia italiana, all’alta ristorazione e alle tendenze del food & beverage Made in Italy, un magazine – con redazioni a Milano e Roma – che viene pubblicato sia online sia in edizione cartacea.
Cerchiamo di scoprire qualcosa di più su questo interessante progetto editoriale intervistando il Direttore Alberto Paolo Schieppati, importante critico enogastronomico, consulente e giornalista di grande esperienza che avevamo già intervistato qui su Universofood per parlare di ristorazione in Italia, nel 2017 (“I ristoranti in Italia. Intervista a Alberto Paolo Schieppati”) e nel 2020 (“Quale futuro per la ristorazione? Intervista a Schieppati”).
1) Buongiorno Alberto e bentrovato da parte di tutti i lettori di Universofood. Puoi raccontarci qualcosa sul progetto So Wine So Food? Che caratteristiche ha la rivista? Quali sono i vostri obiettivi e quali sono i punti di forza che vi distinguono dalle altre riviste di settore?
RISPOSTA DI SCHIEPPATI: Grazie per l’opportunità, innanzitutto. So Wine So Food, di cui ho assunto la direzione ad aprile 2021, è un magazine mensile, tradotto in otto lingue, destinato a valorizzare la cultura enogastronomica italiana attraverso servizi dedicati ai suoi protagonisti. Quando l’editore, Stefano Cocco, imprenditore lungimirante e visionario, fondò la rivista sette anni fa, parti dall’idea di raccontare, attraverso report mirati, lo stato dell’arte dell’alta ristorazione italiana. Non a caso Stefano è soprannominato l’Uomo delle Stelle! Oggi So Wine So Food è protagonista di un format di successo su Sky Uno, dedicato alla ristorazione contemporanea, vista attraverso il filtro di una clientela sempre più esigente e problematica, alle prese con situazioni di ogni genere, dalla nota questione delle intolleranze alimentari (vere o presunte) fino a certi atteggiamenti “liturgici” del servizio di sala. Una analisi spesso impietosa ma reale di luoghi comuni e “tic” che caratterizzano il mondo dell’offerta.
Oggi la rivista, forte di decine di migliaia di visualizzazioni sul sito on line e sulle pagine social, è un punto di riferimento per gli chef e i ristoratori più professionali dell’universo culinario italiano.
2) Avevamo fatto una chiacchierata nell’aprile del 2020 – in pieno lockdown da Covid – interrogandoci sul futuro della ristorazione in Italia. Sono passati due anni e mezzo e certamente – anche se purtroppo il Covid non è affatto scomparso – si intravedono finalmente i segnali di una ripresa del settore, in un quadro di maggiore chiarezza e stabilità anche sul piano legislativo, dopo innumerevoli evoluzioni dal punto di vista delle restrizioni e delle normative. Come vedi oggi la situazione dei ristoranti in Italia? Che cosa è migliorato, e quali sono invece le criticità e gli elementi di difficoltà che restano ancora da affrontare?
RISPOSTA DI SCHIEPPATI: Purtroppo sono stati anni duri. Molti, quelli con le spalle meno forti (forse in parte anche improvvisati, ma anche tanti professionisti che a causa dello smart working hanno perso clientela), hanno chiuso l’attività. Altri, grazie a sforzi immani, hanno tenuto duro e ora si sono ripresi alla grande. Altri ancora si sono trovati di fronte a difficoltà legate alla carenza di personale: è noto come molti operatori del settore, sia di cucina che di sala, abbiano preferito altre soluzioni lavorative, se non la inoccupazione totale. Qualcuno, triste a dirsi, ha preferito restare senza reddito e, grazie a sussidi sociali governativi, abbinati talvolta a prestazioni occasionali di dubbia tracciabilità nel settore dell’ospitalità, ritiene di essere più libero da vincoli di sorta. E di assicurarsi un tenore di vita accettabile, con turni di lavoro meno massacranti e una (apparente) maggiore libertà. Ma le conseguenze sul settore della ristorazione sono state devastanti, al punto che molti locali hanno dovuto ridurre gli orari di apertura o, ancora peggio, affidarsi a personale avventizio e non professionale, privo delle competenze necessarie per operare in questo universo. E qui si presenta il complesso nodo della formazione…
3) Sei uno dei maggiori punti di riferimento in Italia nel mondo del giornalismo enogastronomico e per quanto riguarda recensioni, opinioni e valutazioni sull’alta ristorazione. Tra i ristoranti provati negli ultimi anni quali ti hanno colpito maggiormente? Quali sono secondo te i nuovi nomi da tenere d’occhio e gli chef più promettenti e interessanti? Quali sono i nomi più sottovalutati e che meriterebbero maggiore attenzione e visibilità?
RISPOSTA DI SCHIEPPATI: Bella domanda, chiara e mirata. Vado subito al dunque: fra i “celebrity chef” ritengo Carlo Cracco un riferimento affidabile e sicuro, non solo per le location dei suoi ristoranti (in Galleria a Milano e sulla piazzetta di Portofino), ma per l’alta qualità di materie prime ed esecuzioni. Così come Moreno Cedroni a Senigallia, Davide Oldani e Tonino Cannavacciuolo. Poi, la famiglia Cerea (Da Vittorio, a Brusaporto) garantisce sempre un livello superlativo di cucina e accoglienza. Ma mi sento di citare anche Massimo Spigaroli, con la sua cucina “fluviale” sugli argini del Po, eccellenza e tradizione di grande gusto e sapori. O Stefano Arrigoni, dell’Osteria della Brughiera. O Andrea Aprea (ha appena aperto a Milano il suo splendido ristorante, in Corso Venezia, all’interno della Fondazione Rovati dove aprirà il Museo Etrusco). O Alfonso Crescenzo, al Monastero Santa Rosa, vicino ad Amalfi. Ne avrei altre decine da citare, ma una scoperta recente in Brianza mi ha davvero colpito: Emanuele Petrosino, chef di Bianca Relais, a Oggiono, sul lago di Annone, una stella Michelin, propone una grande cucina di ingredienti semplici ma non per questo meno raffinati. Memorabile il suo (perfetto) Spaghetto ai cinque pomodori, piatto iconico del legame fra tradizione e materia prima. Da provare assolutamente.
A Roma, poi, mi ha colpito la cucina di un giovanissimo cuoco, Valerio Braschi (già vincitore di un’edizione di Masterchef), che ama “osare” con materie prime non convenzionali, che rendono l’esperienza gastronomica presso il suo piccolo ma fascinoso ristorante (si chiama 1978) un fatto davvero unico. Tra i meno valutati dalle guide, ma dotati di talento, professionalità e passione, metterei Cristina Cerbi dell’Osteria di Fornio, a Fidenza, Daniel Canzian, dell’omonimo ristorante milanese, discepolo di Gualtiero Marchesi, Giacomo Lovato del Borgia, a Milano, i ragazzi del Ca’ Mia di Alserio. O Carlo Andrea Pantaleo, di Milano 37, a Gorgonzola. O Luca Dall’Orto, chef patron al L’EK di Lecco. O la trattoria Abbiccì, a Seregno, dove lo stellato Mauro Elli, del Cantuccio di Albavilla (Co), ha aperto questo locale innovativo che parte dalle migliori tradizioni lombarde reinterpretate e proposte da due giovani di talento. Poi, senza ombra di dubbio, quello che ritengo un genio della moderna cucina vegetale: Massimo Strobino, che nel suo Petricore Farm Bistro di Finalborgo (Sv) propone una linea di cucina in cui verdure fresche di ogni genere sono protagoniste di un percorso creativo gustoso e salutistico.
E altri nomi molto interessanti che mi vengono in mente sono: Carmelo Sciarrabba (ACQUADOLCE, Carate Urio), Sossio e Daniele Perrotta (CASA PERROTTA, Cernobbio) e Roberto Di Pinto (SINE, Milano).
Per concludere: i “bravi” sono davvero tanti e ogni giorno si scoprono novità fantastiche, che sarebbe bello raccontare ai tanti appassionati, affinché decidano poi di fissare in agenda una visita gourmet presso di loro!
4) Le Poke Bowls rappresentano da un paio d’anni uno dei più importanti trend della ristorazione, in Italia così come negli Stati Uniti e in tutta Europa. Secondo te stiamo parlando di un fenomeno di breve durata o di un trend che potrà consolidarsi nei prossimi anni? Come valuti questa tendenza? Quali elementi di interesse ci sono dal punto di vista gastronomico da una parte e sul piano commerciale dall’altra?
RISPOSTA DI SCHIEPPATI: Vero. I Poke, o Poké come ormai li chiamano tutti, sono una soluzione intelligente e sfiziosa, spesso un’alternativa a un pasto completo, che possono soddisfare la necessità di un pasto veloce, da consumarsi in modo informale (e spesso conviviale), senza troppi cerimoniali. Il problema, però, è la qualità della materia prima e la cura nelle preparazioni, elementi che troppo spesso non vengono rispettati dagli esercenti che propongono queste specialità. Ma, quando si assolve correttamente a queste regole, il Poke diventa un’ottima soluzione!