Giornalista di lungo corso, direttore della rivista Artù, Alberto Paolo Schieppati è tra i massimi critici enogastronomici italiani e uno dei grandi punti di riferimento dell’editoria food & beverage in Italia.
I RISTORANTI IN ITALIA – INTERVISTA A ALBERTO PAOLO SCHIEPPATI
1) Uno dei canali più importanti per la scelta di un ristorante è oggi la ricerca online di recensioni e informazioni. Il web è dunque una grande opportunità per i ristoranti ma può diventare anche un problema, e le proteste dei ristoratori contro il fenomeno delle false recensioni su Tripadvisor sono ormai all’ordine del giorno. Qual è la sua opinione in proposito?
Direi che, accanto a molti ristoratori che protestano nei confronti di motori di ricerca ‘gastronomici’, ve ne sono molti altri che gioiscono del fatto di essere segnalati e, quindi, scelti da migliaia di clienti. Tripadvisor può piacere o meno, ma di fatto è uno strumento molto consultato sul web, particolarmente dalla clientela internazionale.
2) Negli ultimi anni stanno avendo un grande successo in Italia i ristoranti giapponesi, o – più spesso – i locali fusion orientali e cino-giapponesi. Che cosa pensa di questa moda? E quali sono secondo lei le ragioni e i motivi che stanno alla base di questo grande business? Perché agli italiani piace questo tipo di proposta?
Ai cino-giapponesi preferisco i giapponesi e i cinesi autentici: purtroppo quelli di valore in Italia non sono tantissimi, a fronte di migliaia di conduzioni miste, perlopiù cinesi che guidano ristoranti pseudogiapponesi, che non fanno del tutto onore alle cucine autentiche di quei Paesi. Per quanto riguarda il Sushi (e la moda che ne è derivata) credo sia un fatto più legato a forme di snobismo esterofilo o, viceversa, dettato da crisi economica e conseguente contenimento dei costi, a scapito della qualità. La diffusione di locali all you can eat in cui si può mangiare in quantità elevata con pochissimi euro la dice lunga. Chi abbia un minimo di dimestichezza con il valore economico del pesce sul mercato del food sa che è impossibile proporre prezzi esageratamente bassi. A meno che…
3) Dal 2011 lei è direttore di Artù, la grande rivista dedicata al mondo dell’alta ristorazione italiana. Che cosa fa davvero la differenza in questo mondo? Quali sono i tratti essenziali che distinguono un ristorante stellato dai ristoranti “normali”? Quali sono i suoi stellati preferiti? E come si è evoluto il mondo dell’alta ristorazione negli ultimi anni?
La differenza la fanno: la passione, le conoscenze, la cultura. Insieme a spirito di ricerca, ambizione, umiltà. Il ristorante di alta qualità (non necessariamente stellato dalla Guida Michelin) si distingue innanzitutto per la qualità delle materie prime utilizzate, per la cura nelle preparazioni e nel servizio, per la presenza di uno chef di talento e di esperienza. Il rispetto degli ingredienti, evitando ogni forzatura, resta per me il valore principale. Bravi stellati? Ce ne sono un’infinità. Le mie preferenze? Istintivamente direi: Mauro Elli del Cantuccio di Albavilla (Co), Alfonso Crescenzo del Pietramare di Praialonga (Kr), Herbert Hintner dello Zur Rose di San Michele Appiano (Bz). Ma mi piacciono molto anche Andrea Berton (un fuoriclasse), la famiglia Cerea a Brusaporto (Bg), e decine di altri (qualche nome: Cracco, Cannavacciuolo, Perbellini, Iaccarino, Leveillé, Taglienti, Aprea, Morelli, Vinciguerra, Mollica, Vincenzi, Cedroni, Valazza, Matscher….).
4) Biologico, km zero, vegan: tre grandi tendenze della cucina italiana negli ultimi anni. Quanto in tutto questo è una semplice moda o “posa” e quanto c’è invece di sostanziale e di interessante in questi fenomeni? A destare perplessità – dal punto di vista di un gourmet – è in particolare il veganismo: può esistere una cucina vegana di alto livello o le limitazioni all’uso di ingredienti sono tali da rendere impossibile una proposta gastronomicamente rilevante?
Il periodo delle mode mi pare superato, anche se molti si ritengono allergici o intolleranti a certi alimenti senza avere mai fatto avvalorare scientificamente tali rifiuti, che spesso sono soprattutto psicologici. Il veganismo merita comunque attenzione, cercando di depurare gli aspetti modaioli da quello che comunque rappresenta un regime di alimentazione di tutto rispetto. A chi cerca cucina vegana di alto livello suggerisco due locali: il ristorante dell’Hotel Posta Zirm a Corvara (Bz), e il ristorante Bioesserì a Milano (dove c’è un grande chef, Federico Della Vecchia, capace di coniugare gusto e benessere). L’importante, in materia vegana, è non esagerare (il rischio è il fanatismo), ricordando sempre che la cucina italiana tradizionale ha il repertorio di ricette più sane al mondo. Il km zero, a sua volta, è una chimera, a meno che qualcuno possa davvero permettersi di utilizzare i propri prodotti, purché siano sani e realmente tracciabili.
5) Certamente ogni regione italiana, nessuna esclusa, ha dei piatti tradizionali interessanti. Tra le grandi ricette popolari delle tradizioni regionali italiane, quali sono le sue preferite?
Da lombardo direi il risotto alla Milanese con il midollo, o la Busecca (Trippa), correttamente eseguita. Ma anche i piatti del sud e della tradizione campana, o calabrese, o siciliana, mediterranea in genere, destano in me molto interesse. C’è poi la Puglia, che è un vero giacimento di materie prime freschissime: una vera food valley che non ha nulla da invidiare all’Emilia Romagna, con i suoi grandi prosciutti, i formaggi e le paste fresche ripiene.
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