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“All You Can Eat” di Chiara Lalli. In libreria l’atlante illustrato dei ‘tipi alimentari’

“Gli appartenenti alla specie umana che mangiano tutto e non rompono i coglioni si sono estinti come il dodo?“. Si chiude con questa domanda retorica lo spassosissimo “All You Can Eat. Atlante alimentare illustrato” di Chiara Lalli, pubblicato da Fandango con illustrazioni di Francesca Biasetton. Una galleria satirica di “tipi alimentari” che non risparmia nessuno, mettendo alla berlina tutte le nostre manie, le nostre ossessioni e i nostri tic dietetici e gastronomici.

Nell’epoca dell’ “Homo Dieteticus” – così si intitola un recente pamphlet di Marino Niola edito da il Mulino – i dibattiti intorno al cibo hanno assunto un’aura quasi “religiosa”. Compaiono così dei tipi umani inediti – spesso più radical che chic – che si segnalano per il loro integralismo invero poco “digeribile”. C’è il vegetariano che intravede lo spettro del cancro in ogni minima fettina di carne, c’è il vegano che vive ogni cena “come una battaglia” e passa il tempo a cercare di “convertirti”, c’è il crudista che non cuoce nulla per “non distruggere gli enzimi”, c’è il fanatico del “chilometro zero” che vuole l’Autarchia Alimentare Assoluta, e c’è l’animalista che si indigna perchè Bigazzi ha detto in televisione che durante la Seconda Guerra Mondiale per non morire di fame si mangiavano i gatti.

 

Tutti grandissimi “rompiscatole” che non si danno e non ci danno un attimo di tregua, come anche il “paternalista con l’animo salutista”, che passa la vita a preoccuparsi perché mangiamo troppo o troppo poco, o troppo salato o troppo piccante, o con poche proteine o troppo caldo o troppo freddo, e così via all’infinito, senza che ci sia mai una volta in cui va tutto bene. C’è l’integralista del biologico e del “naturale” che mangia il Kamut come se avesse chissà quali proprietà “magiche” che sarebbero invece assenti nelle altre varietà di grano, c’è chi insegue il “cibo dei miracoli” attribuendo di volta in volta a questo o a quel prodotto fantomatiche proprietà antitumorali o dimagranti o afrodisiache, e c’è chi ancora – nell’anno 2015 – segue alla lettera gli insegnamenti di Rudolf Steiner sull’agricoltura biodinamica e usa corni di vacca e vesciche di cervo o segue principi di astrologia per produrre il vino, come se il vino diventasse davvero più buono seguendo questi riti.

 

Ma quello che ci insegna il libro di Chiara Lalli è che in fondo – e al di là dei casi estremi – quando parliamo di cibo siamo tutti un po’ buffi e un po’ ridicoli, abbiamo tutti le nostre ossessioni e le nostre fisime, come quando ci atteggiamo a grandi esperti di vini per conquistare una donna (ma la facciamo addormentare per la noia…), come quando ci imponiamo di non fare il bagno “se non sono passate 3 ore” anche quando abbiamo mangiato un grissino, quando diventiamo “dipendenti dagli zuccheri” peggio di un drogato con l’eroina, non mangiamo l’arancia di sera perché “è pesante” e non si digerisce bene, ci riempiamo e ci strafoghiamo come pazzi perché tanto “è all you can eat e tutto quello che mangio in più è gratis”, poi ci mettiamo a dieta ma “a partire da lunedì” e intanto facciamo i “ladri di porzioni altrui” con un innocente “posso assaggiare?”, ci divertiamo un po’ sadicamente guardando Masterchef e i concorrenti maltrattati, e infine diciamo che “grasso è bello” – curvy, morbide, fat is beautiful! – come se fosse una cosa di buon senso passare senza vie di mezzo dall’esaltazione di modelle anoressiche all’esaltazione dell’obesità, lasciando a questo punto la vecchia pornografia per il food porn.

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