Sembra essere arrivata alla conclusione la lunga vicenda della battaglia sulla percentuale di succo di frutta nelle bibite a base di succo d’arancia. Il Parlamento ha definitivamente approvato l’articolo 17 delle legge comunitaria che alza la percentuale minima di succo d’arancia dal 12 al 20%.
La battaglia sulla percentuale minima di succo di frutta nelle aranciate e nelle bibite a base di arancia – una vicenda che abbiamo seguito fin da subito qui su Universofood – inizia nel settembre del 2012, quando il governo Monti alza la percentuale dalla soglia storica del 12% (stabilita nel 1958) alla soglia del 20%. Da subito il dibattito si polarizza su due fronti: gli agricoltori e gli industriali. Da una parte dunque il punto di vista dei produttori agricoli, con la Coldiretti che sostiene la nuova norma vista come un toccasana sia per gli agricoltori (alzare la percentuale di succo d’arancia al 20% – sostiene fin da subito la Coldiretti – può aiutare a “salvare oltre 10mila ettari di agrumeti italiani, con una estensione equivalente a circa ventimila campi da calcio, situati soprattutto in regioni come la Sicilia e la Calabria”), sia per la salute degli italiani (tra il 2000 e il 2013 i consumi di frutta e verdura in Italia sono scesi del 30%, e secondo la Coldiretti “grazie alla nuova norma duecento milioni di chili di arance all’anno in più saranno ‘bevuti’ dai 23 milioni di italiani che consumano bibite gassate”). Dall’altra parte il punto di vista degli industriali, con Federalimentare che sostiene fin da subito l’incostituzionalità della norma (perché “determina una discriminazione al contrario nei confronti dei produttori italiani e pone un freno immotivato alla libera iniziativa economica. Si favoriscono gli stranieri, si penalizza la competitività italiana, si mettono a rischio migliaia di posti di lavoro fra diretti e indotto”), e con Assobibe che ritiene la nuova norma inaccettabile perché “i prodotti importanti dall’estero continueranno ad essere disponibili sul mercato italiano anche se avranno una percentuale di succo inferiore. Il nuovo obbligo si tramuterà in un forte incentivo alla delocalizzazione, sostenibile dai grandi gruppi ma sicuramente a scapito delle piccole-medie imprese che rappresentano la tradizione italiana della produzione di bibite analcoliche“.
Nel frattempo però l’innalzamento della percentuale di succo di frutta dal 12 al 20%, dopo essere stato introdotto dal governo Monti (settembre 2012), resta di fatto bloccato per quasi un anno in attesa di un pronunciamento dell’Unione Europea. Nel luglio 2013 la Ue si pronuncia e dà parere negativo, in quanto l’aumento dal 12 al 20% sarebbe incompatibile con le norme europee in materia di libero mercato e libera circolazione delle merci. Ma gennaio 2014, nonostante la bocciatura della Ue, un emendamento promosso dai deputati del Pd Oliverio e Anzaldi reintroduce l’aumento della frutta nelle bibite dal 12 al 20%. Non è finita: a marzo 2014 la Commissione Affari Europei della Camera boccia l’emendamento, il sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi esprime parere negativo e il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina dà anch’egli parere negativo in quanto a suo avviso l’emendamento non potrebbe comunque superare un nuovo esame della Commissione Ue. A giugno 2014 il nuovo colpo di scena: la Camera dei Deputati approva un emendamento del Pd (primo firmatario Nicodemo Oliverio) che fissa ancora una volta la percentuale minima di succo di frutta al 20%, nonostante l’astensione del M5S e il voto contrario di Lega e Ncd. Infine – a ottobre 2014 – il Parlamento approva definitivamente la nuova norma (legge comunitaria, articolo 17): le bibite a base di succo d’arancia prodotte in Italia devono contenere almeno il 20% di succo d’rancia (20 g per ogni 100 cm³ di prodotto).
(Luigi Torriani)