E’ stato approvato alla Camera dei deputati un emendamento del Pd che aumenta la percentuale minima di succo di frutta nelle bibite analcoliche dal 12 al 20%. Prosegue dunque la lunga querelle intorno alle “aranciate senza arance”, iniziata nel 2012 con il governo Monti.
In base a una legge del 1958 il contenuto di succo di frutta nelle bibite a base di frutta deve essere almeno del 12%. Una prima svolta arriva nel settembre del 2012, quando il governo Monti alza la soglia dal 12 al 20%, ma la nuova norma resta di fatto bloccata per quasi un anno in attesa di un pronunciamento dell’Unione Europea. Nel luglio 2013 la Ue si pronuncia e dà parere negativo, in quanto l’aumento dal 12 al 20% viene considerato incompatibile con le norme europee in materia di libero mercato e libera circolazione delle merci. A gennaio 2014 c’è un primo colpo di scena: nonostante la bocciatura della Ue un emendamento promosso dai deputati del Pd Oliverio e Anzaldi reintroduce l’aumento della frutta nelle bibite dal 12 al 20%. Ma a marzo 2014 la Commissione Affari Europei della Camera boccia l’emendamento, il sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi esprime parere negativo e il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina dà anch’egli parere negativo ritenendo che l’emendamento non potrebbe comunque superare un nuovo esame della Commissione Ue. Ora, a giugno 2014, il nuovo colpo di scena: la Camera dei Deputati approva un emendamento del Pd (primo firmatario Nicodemo Oliverio) che fissa ancora una volta la percentuale minima di succo di frutta al 20%, nonostante l’astensione del M5S e il voto contrario di Lega e Ncd. Ma attenzione: ovviamente la norma riguarda soltanto le bevande prodotte in Italia e non si applica alle bevande vendute nel nostro Paese ma prodotte all’estero.
Secondo Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti, “è stata sconfitta la lobby delle aranciate senza arance grazie all’azione del Governo, che si è dimostrato vicino agli interessi reali delle imprese agricole e dei consumatori. Finalmente ci sono le condizioni per cambiare una norma che permette di vendere l’acqua come fosse succo. Quando la legge sarà definitivamente approvata duecento milioni di chili di arance all’anno in più saranno ‘bevute’ dai 23 milioni di italiani che consumano bibite gassate, il che significa cinquantamila chili di vitamina C in più. Parliamo quindi di una decisione che concorre a migliorare concretamente la qualità dell’alimentazione e a ridurre le spese sanitarie dovute alle malattie connesse all’obesità in forte aumento. Non va peraltro dimenticato l’impatto economico sulle imprese agricole poiché l’aumento della percentuale di frutta nelle bibite potrebbe salvare oltre diecimila ettari di agrumeti italiani con una estensione equivalente a circa ventimila campi da calcio, situati soprattutto in regioni come la Sicilia e la Calabria“.
Opposta la posizione del presidente di Federalimentare Filippo Ferrua, secondo cui “la norma approvata è chiaramente incostituzionale: determina una discriminazione al contrario nei confronti dei produttori italiani e pone un freno immotivato alla libera iniziativa economica. Si favoriscono gli stranieri, si penalizza la competitività italiana, si mettono a rischio migliaia di posti di lavoro fra diretti e indotto”. Analoga la posizione del presidente di Assobibe (l’associazione italiana industriali delle bevande analcooliche) Aurelio Ceresoli: “i prodotti importanti dall’estero continueranno ad essere disponibili sul mercato italiano anche se avranno una percentuale di succo inferiore. Il nuovo obbligo si tramuterà in un forte incentivo alla delocalizzazione, sostenibile dai grandi gruppi ma sicuramente a scapito delle piccole-medie imprese che rappresentano la tradizione italiana della produzione di bibite analcoliche. In un momento in cui si parla di made in italy come punto di forza per il rilancio della nostra economia la Camera vota un provvedimento che va esattamente nella direzione opposta”.
(Luigi Torriani)