È di scena a Bra (Cn), dal 20 al 23 settembre, Cheese 2013, nona edizione della prestigiosa manifestazione biennale sul mondo dei formaggi organizzata dalla Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus.
Cheese 2013 (qui il programma completo) si svolge a Bra (Cn) da venerdì 20 settembre a lunedì 23 settembre. Molti eventi sono a numero limitato e richiedono una prenotazione a pagamento entro il 16 settembre (qui la possibilità di prenotare). Per informazioni: tel. 0172419611, mail info@slowfood.it.
Il senso di Cheese è la salvaguardia e la valorizzazione della qualità e della biodiversità nel mondo dei formaggi. Cheese fa parte del più generale progetto Arca del Gusto, un’idea della Fondazione Slow Food per la Biodiversità che consiste nel catalogare in tutto il mondo i prodotti alimentari che maggiormente simboleggiano le tradizioni, la storia e la cultura di luoghi e territori. Spiega il presidente di Slow Food Italia Roberto Burdese: “a Cheese ognuno di noi sarà chiamato a portare a Bra il prodotto caseario ritenuto meritevole di salire sull’Arca con l’iniziativa Salva un formaggio! Solo così si preservano razze, pascoli, paesaggi e saperi delle piccole comunità, spesso tramandati da generazioni. L’invito è quindi a portare a Bra il formaggio che pensate stia scomparendo e farlo salpare con noi sull’Arca!“.
Il programma di Cheese 2013 prevede: un mercato dei formaggi, 38 laboratori del gusto, 60 presidi Slow Food, 11 appuntamenti a tavola, una via degli Affinatori, una piazza della pizza, una piazza della birra, chioschi di degustazione, un’enoteca con oltre 800 etichette selezionate, e altri appuntamenti come i “Master of food” (degustazioni di formaggi tipici di Belgio, Gran Bretagna e Italia accompagnati con birre artigianali locali), “Di che pasta sei?” (laboratorio per imparare a preparare paste ripiene) e la “Caciotta al tesoro” (percorso dedicato alle scuole per scoprire tutti i segreti del formaggio). Da segnalare la presenza, nella Gran Sala dei Formaggi di Cheese 2013, di una cinquantina di formaggi artigianali delle isole Britanniche, che verranno presentati al pubblico dall’affinatore di formaggi Jason Hinds.
Spiega il presidente di Slow Food Carlo Petrini: “Cheese è la più bella manifestazione di Slow Food: venite a Bra per conoscere i produttori, godere appieno della varietà culturale che si respira in quei giorni e lasciarvi tentare dalle moltissime leccornie approdate da ogni parte del mondo a bordo dell’Arca del Gusto . Quante battaglie abbiamo combattuto in questi anni, dal Regno Unito degli anni ’90, in cui lo stilton tradizionale era completamente scomparso, al divieto di produrre formaggi a latte crudo negli USA. Oggi per fortuna il panorama è completamente diverso, dalle Isole Britanniche arrivano prodotti meravigliosi, frutto di ricerca e nuovi metodi di affinamento. E poi, ricordiamolo, già il medico piemontese Pantaleone da Confienza nel suo Summa lacticinorum, il primo libro sui formaggi, celebrava le produzioni lattiero casearie inglesi! E sono molti i Paesi che hanno cominciato a produrre i loro formaggi, dall’Africa al Sud America, sintomo che la biodiversità non si protegge imponendo a tutti il cibo europeo, ma insegnando a valorizzare le proprie ricchezze”.
Il Presidente di Fondazione Slow Food per la Biodiversità Piero Sardo spiega in qusti termini qual è il fulcro della battaglia di Slow Food per la salvaguardia e valorizzazione della biodiversità nel mondo dei formaggi: “da alcuni anni stiamo constatando quanto si sia diffuso l’utilizzo di fermenti industriali in tutta la produzione casearia. Quando nel 2006 salii sui Pirenei, nella zona del Béarn, per avviare un nuovo Presidio di pecorini a latte crudo, mi toccò prendere atto che anche in Francia, anche in alpeggio, anche in casa di produttori-pastori da cinque generazioni erano arrivati i fermenti. E alla domanda perché si fossero piegati a quella pratica, loro che si sacrificavano duramente per mantenere vivi i pascoli della zona, che caseificavano rigorosamente a latte crudo, che rispettavano scrupolosamente la tradizione locale, la risposta disarmante fu: così ci hanno consigliato i tecnici e in effetti così difficilmente si sbaglia il processo. Quando, una decina di anni or sono, lanciammo la campagna a difesa del latte crudo, riuscimmo in buona sostanza a far comprendere – almeno ai consumatori più attenti e ai produttori che prima si vergognavano ad ammettere di lavorare latte crudo – l’importanza di poter continuare a produrre senza pastorizzazione per garantire eccellenza e territorialità ai formaggi, ma abbiamo sottovalutato il fenomeno dei fermenti industriali. Quello che riuscivamo a ottenere da un lato, lo perdevamo dall’altro, perché è indubbio che l’effetto omologante dei fermenti prevale sulla vitalità e la territorialità del latte crudo. E così la diffusione di questa pratica silenziosamente si è propagata a macchia d’olio in tutta Europa, contagiando anche i produttori più scrupolosi e sostenibili. Perché questa diffusione così rapida e generalizzata? Perché utilizzare fermenti è più semplice che non produrseli in caseificio (siero innesto o latte innesto), perché la pratica di raffreddare il latte di più munte e caseificare solo ogni due o addirittura tre giorni dalla mungitura di fatto impone l’utilizzo di coadiuvanti, perché così facendo si riducono sensibilmente la variabilità e il rischio di scarti. E perché per un tecnico o un consulente è un bel modo per semplificarsi la vita e garantirsi buoni risultati, con buona pace per le 2000 e forse più tipologie di formaggi esistenti al mondo. Perché con fermenti industriali basterà distinguere tra famiglie (pasta cotta, pasta cruda, crosta lavata, freschi, semistagionati, stagionati, …) e non per tipo di formaggio: all’interno di una famiglia finiscono per assomigliarsi tutti, dal Circolo polare artico alle Madonie. Spalancando così la strada all’industria, che quel metodo di produzione lo conosce bene, sa come utilizzarlo al meglio e avrà sempre costi minori. È questa l’innovazione che, secondo alcuni soloni che non perdono occasione per tacciare Slow Food di passatismo e ottuso attaccamento alle tradizioni, dovremmo accettare? È questo il finale di partita che ci attende? Gusti tutti uguali orchestrati dagli scienziati dei laboratori di propagazione e conservazione dei fermenti? Noi non ci stiamo e con noi ancora sono parecchi i produttori che non ci stanno, primi fra tutti quelli di Parmigiano Reggiano. Resistere dunque e comunicare: ecco l’impegno che ci attende a partire da questa edizione di Cheese. Amplificare il tema, farne capire l’importanza, mettere in guardia i produttori: quella dei fermenti, infatti, è terra incognita, anche per i consumatori più attenti, in qualche caso anche per professionisti e addetti ai lavori, che tendono a sottovalutare il problema o addirittura a ignorarlo”.
(Luigi Torriani)