Italiani pizza e mandolino? Più mandolino che pizza, a giudicare dalle scelte (a sopresa) sulle candidature italiane 2012 a entrare tra i beni Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco (nella sezione Patrimonio immateriale dell’Umanità, cioè tradizioni e stili di vita, distinta dall’altra lista, quella dei siti storico-artistici). Unico candidato italiano per il 2012 è la liuteria cremonese. Che ha battuto la concorrenza degli altri candidati scelti nelle preselezioni di marzo 2011 da un’apposita commissione interministeriale: lo zibibbo, la vite ad alberello di Pantelleria, il Palio di Siena, le feste religiose calabresi delle macchine a spalla, il Carnevale di Viareggio, e – soprattutto – la pizza napoletana. Infuriati gli operatori di settore, che si aspettavano ben altro esito.
Tra le candidature iniziali quella della pizza napoletana sembrava decisamente la più forte. E pareva ampiamente sponsorizzata dalle istituzioni italiane, tra gli altri dall’allora Ministro del Turismo Michela Brambilla, che si era apertamente schierata in questi termini: “proporre una candidatura all’Unesco significa individuare un simbolo in cui tutti gli italiani si identifichino. Sicuramente la pizza lo è. Non altrettanto si può dire per il Palio di Siena”. Evidentemente nel frattempo qualcosa è cambiato. La notizia è emersa a margine di un convegno dell’Unesco che si è tenuto nei giorni scorsi a Dubai. Ancora non è chiaro quanto l’esito sia legato a una decisione a livello internazionale dell’Unesco e quanto a una scelta delle istituzioni italiane. Di certo c’è che a Napoli sono infuriati.
Certamente entrare nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco non è una questione esclusivamente nominale o di prestigio formale. Le implicazioni economiche sono macroscopiche. Si pensi per esempio ai Sassi di Matera, che per Carlo Levi avevano “la forma con cui, a scuola, immaginavamo l’inferno di Dante” (Cristo si è fermato a Eboli). Scandalo di povertà inaccettabile per Togliatti e De Gasperi (che nel ’54 firmò la legge speciale per lo sfollamento dei Sassi), nel 1993 i Sassi di Matera sono stati proclamati Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Oggi sono ormai, da tempo, una delle più importanti mete turistiche del Sud Italia (come anche i trulli di Alberobello, una volta povere abitazioni contadine, oggi – dal 1996 – Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco con conseguente giro d’affari un tempo inimmaginabile).
Non è così, per il momento, per la pizza napoletana. Che dovrà aspettare, a questo punto, il prossimo biennio 2013/2014 per un riconoscimento che avrebbe potuto significare anche un rilancio turistico e di immagine per la città di Napoli, un modo per cercare di voltare pagina oltre la camorra e oltre lo scandalo dei rifiuti finito sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Infuriato il presidente del Comitato per la tutela, promozione e valorizzazione della pizza napoletana (nonché rappresentante della Consulta nazionale dell’Agricoltura) Rosario Lopa, secondo il quale “si è persa un’occasione vitale di sviluppo del comparto e di valorizzazione del settore gastronomico, sia come immagine della città che sulle nuove opportunità occupazionali”. Lopa ha comunque già dichiarato l’intenzione di cominciare a lavorare da subito per “poter iscrivere la Pizza Napoletana come Patrimonio Unesco nel prossimo biennio 2013/2014”. Nel frattempo ci si deve accontentare della denominazione stg (specialità tradizionale garantita), riconosciuta dalla Comunità Europea a partire dal febbraio 2010, previo rispetto dell’apposito disciplinare di produzione).
(Luigi Torriani)
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