Contro la crisi dei suini, arriva il maiale «light». Carne magra, italiana e con meno spese di allevamento: sono queste le basi del progetto che potrebbe diventare una delle possibili vie d’uscita alla morsa che, fra prezzi di vendita bassi e costi di produzione sempre più alti, sta stritolando le aziende agricole.
«Continueremo a fare il suino pesante, sui 170 chili, le cui cosce servono per i prosciutti Dop – spiega Marco Lunati, consigliere nazionale dell’Anas e allevatore della Coldiretti di Milano e Lodi – ma vogliamo entrare in quella fascia di mercato del consumo domestico di carne di maiale che fino a oggi è stata coperta dalle importazioni dall’estero. Per questo, grazie all’accordo con un grande macello legato al mondo delle cooperative cominceremo a produrre suini leggeri di massimo 130 chilogrammi di peso».
I vantaggi saranno: maggior freschezza del prodotto per i consumatori, il prezzo di vendita (le stalle sapranno prima quanto intascheranno), il minor tempo di allevamento (4 mesi) e quindi spese più basse per l’alimentazione degli animali, oltre a un maggiore controllo sulle fluttuazioni del foraggio vista la brevità del ciclo di gestione degli animali.
L’obiettivo – spiega la Coldiretti Lombardia – è diversificare la produzione e offrire agli allevamenti italiani un’altra fascia di mercato dando ai consumatori carne italiana di alta qualità. In Lombardia il progetto punta a coinvolgere le province dove si concentra la maggior parte degli allevamenti: Lodi, Brescia, Milano, Bergamo, Cremona e Mantova. Il sistema dovrebbe entrare a regime entro l’anno: si partirà con 50 mila capi per arrivare a quasi mezzo milione.
Sarà veramente questa una soluzione alla profonda crisi che da tempo attraversa il settore? La crisi del comparto suinicolo morde come non mai. Le imprese da anni lavorano in perdita, con prezzi stagnanti e costi sempre in aumento. La suinicoltura italiana è provata da anni di prezzi bassi, da una concorrenza estera agguerrita, e finora certamente sleale, e da un esponenziale aumento dei costi di produzione cui non ha purtroppo fatto da contraltare un incremento delle quotazioni dei suini. Senza contare che purtroppo la GdO si avvale sempre più spesso di fornimenti dall’estero.
La recente legge sull’etichettatura potrebbe aprire uno spiraglio in questo scenario: Gianluigi Zani, presidente della Coldiretti mantovana, sostiene a proposito: “E’ un risultato importante. Per anni abbiamo visto la carne di suini esteri (animali allevati senza rispettare le rigide regole e senza i controlli cui sono sottoposti gli allevamenti italiani) giungere in Italia e poi, in assenza dell’obbligo di indicazione dell’origine in etichetta, venir trasformata e venduta come made in Italy, senza alcuna informazione al consumatore che acquistava, e pagava, quella che credeva fosse autentica qualità italiana”
Però di certo non basta e infatti lo stesso Zani auspica altri interventi: “Fra le problematiche della filiera, poniamo il meccanismo di formazione dei prezzi e dei contratti. Nonostante l’avvio della Cun (commissione unica nazionale) i riferimenti per i contratti restano legati ai listini delle Borse provinciali. Dobbiamo, invece, compiere uno sforzo per dare più peso ad un bollettino che rappresenti l’unico vero punto di riferimento per tutti. Sotto accusa c’è anche la disomogenea ripartizione degli utili lungo la filiera, che pone la parte agricola nella posizione più penalizzata. Basti dire che per un euro speso dalla massaia, per carne o prosciutto, solo 15 centesimi arrivano agli allevatori, mentre 85 vengono divisi tra gli altri attori della filiera”
Insomma, la crisi è grave: in passato dall’UE sono arrivati aiuti agli allevatori ma purtroppo questi singoli interventi non bastano. Servirebbe un’azione politica molto più intensa ed efficace: la carne suina e i prosciutti DOP sono uno dei pilastri del nostro patrimonio gastronomico. Se gli allevamenti italiani falliscono, chi produrrà più il Made in Italy?
(Da www.diariodelweb.it)