Co2 in agricoltura: i dati diffusi dalla Commissione europea a luglio 2018 segnalano un quadro di recente stabilità nelle emissioni, a fronte comunque di una forte diminuzione in paragone agli anni Novanta.
L’agricoltura subisce i cambiamenti climatici ma ne è anche causa. L’agricoltura intensiva – che produce alimenti per l’alimentazione umana e per gli animali degli allevamenti – è uno dei settori che emette più Co2 (anidride carbonica, biossido di carbonio, il principale gas responsabile dell’effetto serra), in percentuali analoghe a quelle del settore dei trasporti (agricoltura e deforestazione ad essa correlata nel periodo 2000 – 2010 hanno rappresentato il 21% del totale delle emissioni di Co2 nel mondo). Inoltre la Co2 (più il metano e il protossido di azoto) è presente anche nei gas intestinali derivanti dalla fermentazione enterica negli animali ruminanti (principalmente i bovini, per il 74%, e a seguire le pecore per il 9%, i bufali per il 7%, i maiali per il 5% e le capre per il 4%): il 10% delle emissioni globali ad effetto serra è legata ai gas intestinali prodotti dagli animali.
La buona notizia – relativamente all’Europa – è che secondo gli ultimi dati (diffusi a luglio 2018 dalla Commissione Ue) la Co2 in agricoltura è diminuita negli anni. Facendo un paragone tra il 1990 e il 2016 si scopre che le emissioni di gas ad effetto serra dell’agricoltura europea sono diminuite del 22%, soprattutto grazie a un’evoluzione in senso ecologico di Italia, Germania, Polonia e Romania. La diminuzione della Co2 in agricoltura è stata inarrestabile fino al 2010, anno in cui le emissioni si sono sostanzialmente stabilizzate, rimanendo poi negli anni seguenti più o meno invariate (intorno ai 490 milioni di tonnellate di CO2 equivalente). Il 39% delle emissioni agricole dell’Unione Europea proviene oggi dalla fermentazione enterica dei ruminanti, il 32% dai suoli agricoli, il 14% dall’uso o dal cambio di destinazione d’uso dei terreni coltivati, e il 13% dalla gestione dei reflui d’allevamento.