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Salone Internazionale del Gusto e Terra Madre. Appuntamento a Torino dal 23 al 27 ottobre 2014

Salone Internazionale del Gusto e Terra Madre

L’appuntamento è a Torino dal 23 al 27 ottobre per la nuova edizione del Salone Internazionale del Gusto e Terra Madre, il grande evento biennale di enogastronomia di Slow Food.

 

 

 

Creato nel 1996, il Salone Internazionale del Gusto è organizzato da Slow Food, Regione Piemonte e Città di Torino in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. L’appuntamento, per quest’anno, è al Lingotto Fiere di Torino dal 23 al 27 ottobre (da giovedì 23 a domenica 26 dalle ore 11 alle ore 23, lunedì 27 dalle ore 11 alle ore 20). Il biglietto d’ingresso costa 20 euro, l’abbonamento ai 5 giorni 60 euro (per acquistare il biglietto in prevendita cliccare qui). Il biglietto è ridotto a 16 euro per gruppi di almeno 25 persone, ragazzi tra i 18 e i 30 anni, accompagnatori di persone diversamente abili e possessori di un biglietto d’ingresso per un evento su prenotazione interno al Salone del Gusto; il biglietto è ridotto a 12 euro per ragazzi tra gli 11 e i 18 anni e per gli over 65; il biglietto è ridotto a 10 euro per i soci Slow Food, e a 5 euro per studente per le scuole, mentre l’ingresso è gratuito per i bambini fino agli 11 anni e per i visitatori diversamente abili. Ci sono poi dei pacchetti famiglia per due adulti e due ragazzi sotto i 18 anni (euro 50) e per due adulti e tre ragazzi sotto i 18 anni (euro 60). Per maggiori informazioni scrivere a prenotazioni@slowfood.it.


Centro del Salone è l’area dedicata agli espositori di prodotti agroalimentari, che quest’anno sono 329 provenienti da oltre 100 Paesi (qui l’elenco completo degli espositori). Ci sono poi tutta una serie di eventi (qui il programma completo giorno per giorno), e in particolare: gli Appuntamenti a Tavola (20 cene a teme con alcuni tra i più importanti chef internazionali); la grande Degustazione Slow Wine; la Fucina Pizza&Pane (14 incontri con maestri panettieri e pizzaioli); i Laboratori del Gusto (107 incontri gastronomici a tema); Mixology (17 seminari e workshop dedicati ai cocktail e all’arte del bere miscelato); la Scuola di cucina (27 brevi corsi di cucina con grandi chef); i Laboratori di cucina per le famiglie (percorso gastronomico per genitori e figli); le Attività ludico-didattiche per i bambini; le Attività ludico-didattiche per le scuole; le Conferenze; il percorso Al mercato con i personal shopper (esperti che accompagnano il visitatore in un tour guidato del Salone); la Casa della biodiversità (spazio dedicato ai progetti di Slow Food in tutto il mondo); la Comunità del cibo di Terra Madre (2000 delegati e rappresentanti della rete di Terra Madre: allevatori di razze a rischio estinzione, agricoltori e pescatori di piccola scala, trasformatori di prodotti rari e di qualità); l’area dedicata alle Cucine di strada (Street Food); l’area Cucina di Terra Madre con chef e ricette di tutto il mondo; Eat-in (quattro cene-evento: i Pani del mondo, la Cena nel buio, Dalla testa alla coda, Spreco zero); l’area Enoteca; l’Osteria dell’Alleanza (spazio dedicato alla valorizzazione delle tradizioni e delle gastronomie locali); la Piazza della Pizza (in collaborazione con Associazione Verace Pizza Napoletana); i Presidi Slow Food.

 

Ricordiamo infine l’Arca del Gusto, progetto di Slow Food per la difesa della biodiversità e dei prodotti agroalimentari che stanno scomparendo. Il presidente di Slow Food Italia Gaetano Pascale, a questo proposito, ha invitato a portare “il prodotto che volete salvare a Torino, sarà il prossimo passeggero dell’Arca del Gusto, il progetto di Slow Food che segnala i cibi in via di estinzione ha un obiettivo ambizioso, quello di arrivare a 10mila entro il 2016”.

 

In otto anni il Salone del Gusto ha ridotto il suo impatto ambientale del 65%, e la filosofia che sta dietro l’organizzazione dell’evento è spiegata dagli organizzatori in questi termini: “l’anno in corso è stato dichiarato dalle Nazioni Unite Anno internazionale dell’Agricoltura Familiare e non è una mera questione celebrativa. L’agricoltura familiare ha dovuto fare un bel po’ di anticamera culturale e ora che un’istituzione sovranazionale la celebra, non dobbiamo pensare nemmeno per un attimo che sia una questione di poca importanza. Qualche decennio fa, con l’avvento della rivoluzione verde, che portò con sé un modello agricolo monocolturale e un’agronomia basata sulla chimica di sintesi e sul lavoro meccanizzato, si iniziò a pensare all’agricoltura familiare come a qualcosa di inadeguato alle esigenze demografiche della contemporaneità, che vedeva una popolazione in costante crescita a fronte di una superficie coltivabile che non poteva estendersi a danno delle aree urbane e industriali che intanto si propagavano. Ci sono voluti decenni di resistenza economica, politica, educativa, ambientale, intellettuale e produttiva, a tutti i livelli, per arrivare a questa proclamazione. La differenza tra l’agricoltura familiare e quella di impostazione industriale non sta solo nelle dimensioni, che sono semmai una conseguenza della filosofia che le guida. L’agricoltura industriale è innanzitutto un business. In alcune zone del mondo, per indicarla, si usa il termine agribusiness. Punta al profitto, è eminentemente orientata al mercato. Produce merci da vendere. Il mercato, quello che si nomina al singolare, quello delle borse merci, della grande distribuzione, quello delle export, quello in cui il cibo si chiama “derrata”: per quel mercato bisogna produrre tanto, in modo uniforme e sganciandosi dai tempi della natura, aiutandosi con input  energetici e chimici. Bisogna far lavorare la terra con ritmi forzati. Quando parliamo degli animali allevati negli allevamenti intensivi, diciamo di come sono costretti in condizioni inaccettabili, che negano loro libertà, salute, spazio; negano i ritmi naturali del sonno-veglia, della crescita, della riproduzione, delle relazioni con i loro simili. Provate a pensare alla terra, e alla Terra, come un grande, delicato, complesso animale. L’agricoltura industriale le strappa via moltissime delle specie selvatiche che lei ospita, la inonda di chimica, intossica le sue acque, la trafigge con arature profonde, ne spinge i ritmi con prodotti di sintesi…. e noi mangiamo il risultato di tutto questo. Ma l’importante, per l’agribusiness, non è che noi lo mangiamo. È che noi lo acquistiamo. L’agricoltura familiare produce cibo. Il suo obiettivo sono le persone che lo mangeranno e anche la terra che, stagione dopo stagione, collabora con gli agricoltori. Produce cose da mangiare, non cose da vendere. L’importante è avere un raccolto, per questo diversifica il più possibile, cerca di inserirsi nei ritmi della natura, non di contrastarli. Semina patate, ma anche mais e fagioli, perché il clima che danneggerà uno di questi alimenti favorirà gli altri; semina ortaggi, ma anche fiori ed erbe aromatiche, perché gli insetti e i parassiti non li danneggino. Dietro all’agricoltura familiare non ci sono società di capitali, ma agricoltori, che saranno i primi a mangiare le loro produzioni, insieme alle loro famiglie. E ci saranno i mercati, al plurale, quelli di vicinanza, ma anche quelli alternativi, come i Gas, o le consegne via internet, o i negozi cooperativi. L’agricoltura familiare va celebrata perché produce l’80% del cibo che viene mangiato dalla popolazione della terra. Quello che viene mangiato, attenzione, non quello che viene commercializzato. Le persone non si sfamano grazie ai grafici dei fatturati, ma se hanno qualcosa nel piatto. E se questo qualcosa arriva grazie a un acquisto, a un dono, a uno scambio o perché è stato coltivato da chi lo porta in tavola, non importa. L’agricoltura familiare va celebrata, e favorita e sostenuta politicamente perché consente a iniziative come l’Arca del Gusto di Slow Food, che cataloga cibi a rischio di estinzione, di non diventare una lista di mesti ricordi, ma di restare una lista di possibili progetti (e i Presìdi di Slow Food si originano da quella lista). L’agricoltura familiare non va intesa come ciò che salverà il pianeta, ma come ciò che, finora, ha consentito al pianeta di non perdersi. Ci vediamo al Salone del Gusto eTerra Madre 2014, per capire facendo, assaggiando, ascoltando e raccontando”.

 

(Luigi Torriani)

 

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