È in arrivo sugli scaffali di negozi e supermercati degli Stati Uniti il Salmone Ogm, un Supersalmone geneticamente modificato per avere una crescita più rapida e lungo tutto l’anno. Ma il fronte dei contrari è sempre più ampio e agguerrito.
Abbiamo pubblicato qui su Universofood nelle scorse settimane tutti i più recenti dati dell’ISAA (International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications) sulla produzione mondiale di ogm. In diciassette anni, dal 1996 (anno di partenza degli ogm) al 2012, le colture ogm nel mondo sono cresciute di oltre cento volte, passando da 1,7 milioni di ettari a 173,3 milioni di ettari, e nel 2012 – rispetto al 2011 – sono cresciute a un tasso di crescita annuo del 6%.
In Europa però gli ogm sono stati e sono sostanzialmente un fallimento, nonostante una legislazione europea di favore e nonostante alcune aperture autorevoli, come quella del ministro Clini. Basti dire che la multinazionale Basf (quella delle “patatine fritte ogm“) ha scelto di abbandonare qualsiasi piano di sviluppo e commercializzazione di colture ogm in Europa per concentrarsi soltanto sul ben più redditizio mercato americano (qui il comunicato ufficiale dell’azienda), tutto questo mentre la Polonia ha recentemente vietato mais e patate ogm. In Europa ad oggi ci sono solo cinque Paesi coltivatori di ogm (Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania), e con numeri assolutamente secondari (Spagna 0,1 milioni di ettari piantati nel 2013; Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania meno di 0,1 milioni di ettari). Sono ben altri i numeri degli Stati Uniti, Paese leader mondiale delle coltivazioni ogm con 69,5 milioni di ettari (di mais, soia, cotone, colza, barbabietola da zucchero, alfalfa, papaia, e zucchina), e un recente – timido – tentativo di introdurre una legislazione più restrittiva in materia di etichette alimentari di cibi ogm, tramite referendum che è stato però poi bocciato dagli elettori.
La Food and Drug Administration sta per approvare il prodotto, che dovrebbe essere commercializzato entro la fine del 2013, e ha già dichiarato in via preliminare che “il salmone non avrebbe un impatto significativo sull’ambiente”, anche perché si tratterebbe di salmoni sterili). Il salmone è prodotto da un’azienda del Massachusetts, la AquaBounty, e si chiama AquAdvantace Salmon. Il pesce viene prodotto in laboratorio, con queste fasi di lavorazione: in Canada vengono prese e modificate delle uova di salmone canadese (salmone dell’Atlantico), unendo i tratti del Dna di altri due pesci, il salmone del Pacifico,per una crescita più rapida, e l’Ocean Pout (sorta di pesce gatto dell’oceano), per una crescita maggiormente distribuita lungo tutto l’anno; in questo modo i salmoni raggiungono le dimensioni adatte alla vendita in 16-18 mesi anziché in tre anni, e diventano reperibili sul mercato durante tutto l’anno; i salmoni vengono poi trasferiti a Panama, dove vengono allevati, fino alla crescita adatta per l’inserimento sul mercato.
Ma il fronte dei contrari è ampio e agguerrito. L’organizzazione internazionale Avaaz sta promuovendo una raccolta firme contro il “pesce Frankestein” (che comporterebbe rischi sia per la salute umana sia per l’ecosistema), ed è già oltre il milione di firme raccolte. Nel frattempo alcune catene di supermercati americani hanno espresso la loro contrarietà alla vendita del salmone ogm, ed è partita negli Stati Uniti una Campaign for Genetically Engineered-Free Seafood. Le catene Aldi e Trader Joe’s hanno già annunciato che non venderanno prodotti ittici geneticamente modificati, e lo stesso hanno fatto diverse catene regionali come Marsh Supermarkets, PCC Natural Markets, e cooperative del Minnesota, dello stato di New York, della California, e del Kansas. E la Whole Foods, una catena di 335 supermercati che vendono alimenti biologici e naturali, ha annunciato che, entro il 2018, tutti i prodotti venduti nei suoi magazzini, negli Stati Uniti e in Canada, dovranno avere un’etichetta che riporti l’eventuale presenza di ogm. Per ulteriori approfondimenti si vedano queste pagine dell’Huffington Post.
(Luigi Torriani)
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