Dopo mesi di attesa, è partito l’annunciato fermo pesca per l’Adriatico. L’attività di pesca è totalmente vietata a partire dal 5 agosto, fino al 27 agosto per la costa da Trieste e Rimini e fino al 27 settembre tra Pesaro e Bari. Un provvedimento inevitabile per garantire il ripopolamento e salvare il pesce italiano, dopo un trend negativo negli stock ittici che dura da anni e che è arrivato al crollo nel 2011, con un calo del 38% del pescato rispetto al 2010.
La situazione dei pescatori italiani è drammatica. Prima è arrivato il caro gasolio, poi l’introduzione dell’Iva al 10% sul gasolio dei pescherecci, poi l’accordo tra Unione Europea e Marocco che ha tolto le tariffe doganali spalancando le porte alla concorrenza del pesce marocchino. Infine un’escalation di nuove regole e sanzioni (accompagnate da “battaglie culturali” talora eccessive…), tra cui la celebre licenza a punti (in vigore dal primo gennaio 2012, con il seguente meccanismo: ogni pescatore va incontro a una perdita di punti ogniqualvolta infrange una qualsiasi regola Ue sulla pesca, e ad ogni regola infranta corrisponde una precisa perdita di punti, per esempio meno 5 punti per la pesca di esemplari sottotaglia, meno 6 punti per il mancato rispetto della distanza minima dalla costa, meno 4 punti per l’uso di reti o attrezzi non regolamentari; quando si è arrivati a 18 punti persi la licenza viene sospesa per due mesi, a 36 punti per quattro mesi, a 54 punti per otto mesi, a 72 punti per dodici mesi; se si arriva a 90 punti c’è il ritiro della licenza di pesca; si possono cancellare i punti tornando a zero se passano tre anni dall’ultima infrazione commessa).
Mentre si cerca di rilanciare l’immagine del comparto ittico italiano con iniziative come quella del brand Solo Pesce Italiano, dell’etichetta (facoltativa) “prodotto italiano” o del Consorzio Mare Nostrum Tuna, il problema di fondo è oggi quello di garantire un ripopolamento degli stock ittici dei nostri mari, in particolare dell’Adriatico, che si sta letteralmente sterilizzando. Oltre ai continui allarmi del Wwf sul crescente inquinamento delle acque, ci sono numerosi pesci che sono ormai a rischio estinzione, e il Fish Dependence Day (il giorno in cui inizia la dipendenza di un Paese dal pesce di importazione) è ormai sempre più in anticipo e si è spostato quest’anno dal 30 aprile al 21 aprile. In sintesi: se si avanti così la popolazione ittica dei nostri mari è destinata a crollare, e con essa la pesca in Italia.
Che fare? Oltre alla licenza a punti, il grande strumento per salvare i pesci italiani (e con essi i pescatori) è la misura dei fermo pesca. Un provvedimento legislativo proposto dall’allora ministro Tremonti alla metà del 2011 e che prevede semplicemente il divieto totale di pesca in certi periodi dell’anno. Finalmente, a partire dal 6 agosto, il fermo pesca per l’Adriatico è scattato. Durerà tre settimane (fino al 27 agosto) per la parte Nord dell’Adriatico (da Trieste a Rimini), e un mese e tre settimane per la parte Sud (da Pesaro a Bari). Tra le altre misure del fermo 2012, la previsione di un’area di tutela dell’attività della pesca per i soli sistemi a traino, fino a tutto il mese di ottobre. Il provvedimento vale fino alle 4 miglia per le barche da pesca con sistemi a traino abilitate ad operare fino o non oltre a 6 miglia dal battigia, e fino alle 6 miglia per quelle abilitate ad operare oltre le 6 miglia dalla costa.
Naturalmente nel periodo del fermo pesca dovremo rassegnarci all’idea di mangiare (a casa o al ristorante) del pesce quasi esclusivamente di importazione (e decongelato). Attenzione: per alcune settimane gli unici pesci freschi (di mare) Made in Italy saranno quelli di Ionio e Tirreno, oltre ai pesci e ai molluschi provenienti dagli allevamenti nazionali (per esempio orate, branzini, vongole e cozze).
(Luigi Torriani)
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