La Coldiretti ha siglato un protocollo d’intesa con la Rete delle organizzazioni contadine dell’Africa occidentale (ROPPA). Obiettivo del partenariato: muoversi con efficacia nell’ambito della FAO (dove sono in discussione nuove regole internazionali per la governance della terra) per porre all’ordine del giorno il problema delle speculazioni internazionali e del land grabbing. Di che si tratta? Che cos’è questo fenomeno che molti definiscono come una sorta di “nuovo colonialismo”?
Viene definita land grabbing l’appropriazione di terreni, in Paesi del Terzo Mondo, da parte di multinazionali e grandi fondi di investimento. In pratica vengono acquistati o affittati a lungo termine (trattando direttamente con i governi locali e senza consultare la popolazione) enormi appezzamenti agricoli fertili nel Sud del mondo (soprattutto in Africa), sgombrando poi con la forza i coltivatori autoctoni. Il fenomeno è cresciuto a partire dal 2008, in concomitanza con la crisi finanziaria internazionale e con l’aumento dei prezzi delle derrate alimentari. Un aumento che ha spinto ulterioremente gli investitori, le multinazionali e i fondi di investimento ad acquistare gigantesche fette di terreni agricoli nei Paesi del Terzo Mondo (i più colpiti sono Uganda, Sudan, Indonesia, Guatemala e Honduras).
Il rapporto Land and Power diffuso dalla Ong internazionale Oxfam fotografa una situazione sempre più allarmante. I ricercatori di Oxfam hanno esaminato oltre 1.100 casi di land grabbing. Il 50% delle compravendite sono avvenute in Africa per un’area delle dimensioni della Germania. La ricerca sul campo ha raccolto trstimonianze e ha svelato situazioni terribili. Per esempio oltre 20.000 ugandesi hanno denunciato di essere stati costretti con la forza ad abbandonare le loro case per far posto alle piantagioni estensive della società britannica New Forest Company. L’ugandese Christine Longoli ha spiegato: “ricordo la mia terra, tre acri di caffè, tanti alberi, mangrovie e avogado. Avevo le mucche, le api. Mi avevano dato anche un premio come agricoltore modello. Ora non ho più nulla, sono la più povera tra i poveri”.
E Lokuda Losil, 60 anni e 30 acri di terra, racconta: “gli uomini della New Forest Company sono venuti e hanno cominciato a distruggere i raccolti e a demolire le case ordinando di andarcene. Picchiavano la gente che non riusciva a scappare”.
In Honduras, la Bajo Aguan Valley, una delle regioni più fertili, è stata sottratta alle cooperative locali e militarizzata, con l’assassinio nell’ottobre del 2010 di 36 contadini. In Guatemala, nel marzo del 2011, 800 famiglie sono state costrette ad abbandonare le loro case nella Polochic Valley, per destinare l’area alla produzione di olio da palma.
In Sudan tra il 2007 e il 2010 le multinazionali hanno preso il controllo di 2,6 milioni di ettari di terreno da destinare all’agricoltura, un’area che rappresenta il 10% dell’intera superficie del Paese. Padre Fausto Tentorio, missionario nelle Filippine, che difendeva le popolazioni locali dagli espropri forzati delle grandi compagnie agricole e minerarie, è stato ucciso il 17 ottobre, vittima del land grabbing.
Sono solo alcuni esempi di un fenomeno ampio e ramificato che non ha il solo (gravissimo) problema della violenza sulle popolazioni locali. Altro problema di fondo è che il sistema del land grabbing non incide per nulla in positivo nello sviluppo dei Paesi nel quale viene praticato. Anche l’aspetto occupazione è irrilevante, soprattutto nel caso del land grabbing praticato da cinesi e indiani, che tendono sempre a usare dei loro connazionali per il lavoro sulla terra. La Cina – che è arrivata a circa 5 milioni di ettari acquistati o affittati in Africa – usa spesso i propri carcerati per lavorare la terra. I prodotti coltivati o estratti non arricchisono quindi in alcun modo i mercati locali nè accrescono il prodotto interno lordo dei Paesi interessati, anche perché vengono immediatamente spostati e assimilati dai mercati interni cinese e indiano. Gli unici locali ad arricchirsi sono i politici africani che trattano con le multinazionali per la compravendita dei terreni.
In un comunicato stampa Coldiretti ha espresso la necessità di “edificare un modello di produzione alternativo che tenga conto delle caratteristiche dei singoli territori e delle risorse – anche culturali – delle comunità locali”. E ha aggiunto: “per questi motivi ROPPA e Coldiretti, con il sostegno di Terra Nuova/ItaliAfrica, intendono promuovere una nuova e più intensa collaborazione che faccia perno su un modello agricolo di piccola scala, alternativo e sostenibile. In cui l’accesso alla terra e alle sue risorse sia garantito alle nuove generazioni e sostenuto dalle comunità dei consumatori” Ma il presidente di Oxfam Italia Francesco Petrelli vede per il futuro non una diminuzione ma un probabile incremento ulteriore del fenomeno del land grabbing. “Questa nuova corsa all’oro” – ha dichiarato Petrelli – “si intensificherà nel futuro, a causa della crescente domanda di cibo, dei cambiamenti climatici, della scarsità d’acqua e dell’incremento della produzione di biocarburanti”.
(Luigi Torriani)