Gli ultimi dati Istat sulla disoccupazione, pur in un contesto tutt’altro che lusinghiero, parlano di una lievissima ripresa. Il tasso di disoccupazione ad agosto è sceso al 7,9%, con l’occupazione che è aumentata dello 0,1% rispetto a luglio (+26.000 lavoratori) e dello 0,8% rispetto ad agosto 2010 (+191.000). Ma per il secondo trimestre 2011 i dati Istat sono negativi, in particolare per l’agricoltura, che perde 40.000 occupati (-4,6%) e registra il calo più elevato nel numero di lavoratori tra tutti i settori dell’economia italiana.
Certamente il lavoro dei campi è da tempo poco gradito agli italiani, che tendono a considerarlo come un’occupazione di serie B. Non a caso secondo i dati Istat negli ultimi quindici anni gli immigrati occupati in agricoltura sono quadruplicati, passando da 52.000 a oltre 197.000 unità. Ma al di là dell’aumento dell’occupazione agricola sul fronte specifico dei lavoratori immigrati (cui corrisponde una speculare diminuzione degli occupati italiani nel settore agricolo), il dato generale parla di un calo che si avvicina a una media del 5% e che configura quello agricolo come l’ambito maggiormente in sofferenza sul piano dell’occupazione. Precisamente: la riduzione degli occupati nei campi ha toccato sia i lavoratori dipendenti (-5 per cento), sia quelli indipendenti (-4,2 per cento) e ha colpito il Nord (-12,2%) e il Centro Italia (-8,6%). Si salva invece il Sud, che addirittura registra un +3,1%.
La Coldiretti, in un comunicato stampa di commento ai dati Istat, individua – al di là della generale crisi dell’economia italiana ed europea – due ragioni congiunturali alla base del calo particolarmente elevato degli occupati in agricoltura: la psicosi da batterio killer e “l’andamento stagionale primaverile sfavorevole con pioggia continua che ha ostacolato il normale svolgimento delle semine”.
In particolare il primo fattore – la paura (ingiustificata) del “batterio killer” – secondo Coldiretti ha pesato in maniera decisiva sull’andamento dell’agricoltura italiana, determinando una grave “crisi di mercato che ha colpito alcune coltivazioni ad elevato impiego di manodopera come la frutta e la verdura”. La psicosi in particolare ha contribuito a configurare un giugno drammatico per il comparto agroalimentare italiano, con casi-limite come quello dei cetrioli (correlati a un certo punto – erroneamente – all’emergenza Escherichia Coli), che secondo i dati forniti dalla Coldiretti hanno raggiunto il non invidiabile primato del 90% di prodotto invenduto nelle fasi di massima emergenza del mese di giugno.
In generale si parla di un calo medio dei consumi di ortofrutta pari al 20%, per un danno economico determinato dalla psicosi da batterio killer che è quantificato in circa 150 milioni di euro, e con un fortissimo problema di mancate esportazioni all’estero, essendo tradizionalmente la Germania (cioè il Paese più colpito dall’emergenza Escherichia Coli) il principale mercato di sbocco della produzione ortofrutticola italiana. “A causa dei crollo dei consumi e delle esportazioni determinato dalla paura nei campi – precisa la Coldiretti – sono rimasti invenduti oltre cinquanta milioni di chili di ottime e sane verdure italiane”. Da qui tutta una serie di ripercussioni negative sull’intero comparto agroalimentare, compreso il prevedibile calo dell’occupazione. Tuttavia – precisa Coldiretti – “l’agricoltura resta un’importante opportunità occupazionale per molti giovani, che si stima in ben 250.000 abbiano partecipato alle campagne di raccolta estiva per la frutta e la vendemmia”.
(Luigi Torriani)