Nella giornata finale di Linkontro, convegno organizzato recentemente da Nielsen è stato affrontato il rapporto tra industria, retailer e consumatori per delineare la mission e gli scenari futuri in cui questi tre protagonisti del mercato della gdo sono coinvolti. Cosa è emerso?
Innanzitutto, il convegno ha visto la partecipazione di 400 top manager da tutta Italia e ha mostrato come il mondo del retail si muova su più fronti: valorizzazione dei localismi, rapporto più diretto con il consumatore, informazioni più leggibili dei prodotti in vendita.
Lo spiegano bene le parole stesse di alcuni dei partecipanti: per Mario Maiocchi, AD Unieuro, la mission del retailer è quella di essere l’anello di congiunzione tra industria e consumatore. Maniele Tasca, direttore generale di Selex, ha puntato l’attenzione sui localismi. “Stiamo ridefinendo i nostri pdv per adattarli alle realtà locali con assortimenti differenziati rispetto alla concorrenza”. Anche per Roberto Masi, direttore generale di McDonald’s, il local è il futuro: “ritengo che puntare sui cibi locali possa essere un’arma vincente. Stiamo pensando a nuove soluzioni per essere ancora più local e avere una nostra tipologia di ristorazione. Il mio sogno è di far fare a chef italiani le nostre ricette. Innovare significa anche puntare alla sostenibiltà ambientale. Ne è un esempio il primo pdv europeo totalmente eco aperto a Lainate”. Per comprendere aspettative e comportamenti dei consumatori, come spiega Giovanni Linzi, general manager sales Ibm Italia, bisogna avvalersi anche di buoni strumenti di analisi. Ne è un esempio l’occhio magico utilizzato nel settore moda che ha consentito di sistematizzare le abitudini dei clienti: “La telecamera nelle vetrine dei negozi permette di raccogliere informazioni utili su chi le guarda”.
La questione della sostenibilità ambientale è risultata inoltre centrale: non un vincolo, né un aggravio inutile di costo.
Dal palco de Linkontro quattro case history differenti hanno indicato la strada da seguire a riguardo per costruire formule di business più attente all’ambiente.
Felice La Salvia, presidente di Natura Sì ha esordito spiegando che l’azienda è nata per salvaguardare l’ambiente da un’agricoltura troppo chimica e la salute dei consumatori che poi mangiano quei prodotti. Il risultato: una crescita del 20% ogni anno e 88 punti vendita in tutt’Italia. Ha quindi proseguito Giorgina Gallo, ad di L’Oréal Italia: “Ci siamo dati obiettivi ambiziosi: entro il 2015 ridurremo del 50% i consumi di acqua ed energia, ma ragioniamo in un’ottica carbon free, con uno stabilimento in Belgio già alimentato da scarti zootecnici e la prospettiva di convertire il nostro stabilimento torinese 100% alle energie rinnovabili entro il 2012”. Nonostante i vincoli della burocrazia ‐puntualizza Leo Wencel, presidente di Nestlé Italia ‐ dobbiamo mettere in atto tutti gli strumenti a nostra disposizione per ridurre sprechi e impatto, accelerando nel futuro a breve: “energia e riciclo dei packaging saranno gli argomenti nodali verso i quali incentrare la nostra innovazione”. “Per noi sostenibilità fa rima con cultura” –ha concluso Maura Latini, vice presidente di Coop Italia – “Con Coop for Kyoto abbiamo chiesto ai nostri 150 fornitori di Pl di ridurre le emissioni e i loro consumi energetici. Ma abbiamo anche lavorato sul pack dei nostri prodotti a marchio, introducendo indicazioni sul corretto smaltimento e avviando ricerche sull’uso del monomateriale, più facile da differenziare”.
E gli shopping center del futuro, come saranno?
Industria, retail, consumatore: anche il centro commerciale dovrà ripensarsi per rispondere alle sollecitazioni del futuro.
Secondo Luca Molinari, architetto dell’Università di Napoli i criteri in base ai quali gli shopping center verranno costruiti hanno un ruolo rilevante nell’effettivo successo di queste strutture. Il modello della scatola brutta e anonima, che consuma territorio e fa perdere la nozione del tempo a chi la frequenta, non è più percorribile: “Il centro commerciale oggi dovrebbe essere un luogo di potenziale sperimentazione e sfida, perché è un progetto che dovrà vivere nel futuro. L’attenzione alla qualità coinvolge già anche i luoghi dove si fanno gli acquisti, per andare oltre la semplice funzione commerciale, verso un’esperienza di condivisione comunitaria. Nello scenario prospettato da Molinari, i modelli possibili sono due: lo shopping center costituito da spazi commerciali complessi aggregati dalla rete della metropoli diffusa; oppure il centro commerciale come lo conosciamo, trasformato anche nell’architettura, per costruire esperienze nuove. Per esempio, pensando alla produzione di cibo, si potranno realizzare anche sui tetti di queste strutture orti collettivi mobili, utilizzando materiali di recupero, come il cartone. Il centro commerciale dovrà proporre un’esperienza a 360° nella quale sarà molto rilevante la dimensione antropologica, combinata con i temi dell’innovazione. L’essere umano rimane, infatti, l’unica costante di fronte ai cambiamenti imposti dal tempo e le persone hanno bisogno di identità, di luoghi di incontro, di essere coinvolte nella creazione di un futuro possibile. In questo senso quindi, conclude Molinari, il centro commerciale dovrà diventare un laboratorio di costruzione del futuro, in grado di rivitalizzare il territorio e nel quale l’innovazione si combina con la nostra dimensione antropologica, senza negarla.
(Da www.beverfood.net)