Poco reddito e tanti costi. Si riassume in una frase la situazione che sta vivendo la filiera agroalimentare italiana sulla quale l’Istituto Nazionale di Economica Agraria, in collaborazione con Nomisma, ha tirato le somme al Cnel con un seminario sul “consumo responsabile”.
Il consumatore appare sempre più attento e orientato verso acquisti consapevoli legati ai valori della sostenibilità ambientale e sociale della produzione. Ma anche economica.
I problemi nascono da un sistema produttivo frammentato e polverizzato dal quale le singole aziende si trovano indebolite.
Ma non solo: anche la distribuzione italiana e le imprese più grandi appaiono piccole, nella media, rispetto ai competitors stranieri. Inea ha cercato di fare il punto sulle aspettative dei consumatori che “frequentano gli scaffali dei supermercati” per evidenziare nuove strategie di rilancio del sistema.
Il consumo responsabile comprende, nella sua accezione, diversi elementi: il consumo critico, il commercio equosolidale, la sobrietà del consumo stesso, bilanci di giustizia, gruppi di acquisto solidale, turismo responsabile e infine la finanza etica.
Dalla ricerca Inea appare che l’atteggiamento nei confronti del consumo si distingue in tre tipologie di consumatori, quello tradizionalista, quello narcisista e quello etico. Quello che è peggiorato, secondo la ricerca, è stato il clima di fiducia dei consumatori che “in progressivo miglioramento nella seconda metà del 2009, è tornato a peggiorare quest’anno riportandosi in marzo, sui livelli dello scorso giugno”.
A pesare “è il maggiore pessimismo circa la situazione economica generale del paese e l’accresciuta preoccupazione sulle condizioni del mercato del lavoro”. La percentuale dei consumatori intervistati che prevede un aumento della disoccupazione nei prossimi 12 mesi “è salita di oltre il 30 per cento in marzo. Vale a dire il doppio di quanto registrato lo scorso luglio”.
A incidere negativamente è anche il “deterioramento dei bilanci familiari”. Ma a costituire un freno al mercato italiano sono anche i “limiti del libero mercato e le nuove potenzialità”. Il mercato, lasciato al solo principio della ricerca del profitto – spiegano dall’Inea – non riesce a produrre coesione sociale di cui pure ha bisogno”. Praticamente le aziende sono frammentate, quindi deboli.
“Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca – proseguono dall’Istituto economico – il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica”. Inoltre “occorre che nel mercato si aprano spazi per attività economiche realizzate da soggetti che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi diversi da quelli del puro profitto, senza per questo rinunciare a produrre valore economico”.
E sono molte le espressioni economiche che traggono origine da iniziative “no profit”. Praticamente secondo l’Inea accanto all’impresa privata “profit” a ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive “che perseguono fini mutualistici e sociali” perché “è dal loro reciproco confronto sul mercato che ci si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti di impresa e dunque un’attenzione sensibile alla civilizzazione dell’economia”.
Dunque rilanciare la filiera agroalimentare attraverso la promozione di una “maggiore educazione al consumo responsabile tra le famiglie”, incentivando “le aziende che applicano criteri di sostenibilità ambientale e di responsabilità sociale”; attraverso lo “sviluppo di modelli di Rsi che possano essere chiaramente declinati all’interno dei report sociali”, e la realizzazione di “marchi di certificazione di filiera locali che permettano ai consumatori di individuare i prodotti realizzati nei territori capaci di garantire non solo elevati standard di qualità ma anche promozione del territorio e forte concorrenza ai prodotti non di qualità”.
da ilvelino.it del 22.04.2010