Per la prima volta la Corte di giustizia europea è chiamata ad interpretare la portata della normativa europea sulla protezione delle invenzioni biotecnologiche.
L’Avvocato generale Paolo Mengozzi, nelle sue conclusioni, suggerisce ora alla Corte di statuire che il brevetto relativo ad una sequenza genetica è tutelato nei limiti in cui l’informazione genetica svolge attualmente le funzioni descritte nel brevetto stesso.
Tutto nasce da un ricorso di Monsanto, titolare dal 1996 di un brevetto europeo su una sequenza genetica che, introdotta nel Dna della soia, la rende resistente al glifosato, un erbicida prodotto dalla medesima società. Cosicché gli agricoltori possono utilizzare l’erbicida contro le piante infestanti, senza danneggiare la coltura di soia.
La soia geneticamente modificata (soia Rr, cioè Roundup ready) è coltivata in vari paesi del mondo, ma non nell’Unione europea. Nel 2005 e nel 2006, le società convenute nella causa principale hanno importato farina di soia per la produzione di mangimi per animali dall’Argentina, dove la soia Rr è coltivata su vasta scala, ma dove invece Monsanto non dispone di un brevetto sulla sequenza genetica.
Con un’analisi richiesta da Monsanto, è stata rilevata la presenza di tracce del Dna caratteristico della soia Rr ed è quindi stato accertato che la farina importata è stata prodotta con la soia geneticamente modificata per cui Monsanto è titolare di brevetto europeo. Il giudice olandese a cui si è rivolta Monsanto ha chiesto alla Corte di precisare quale tutela debba essere riconosciuta nell’Unione europea alle invenzioni biotecnologiche, ed in particolare ai brevetti relativi ad un’informazione genetica.
Si tratta di determinare se l’informazione genetica sia tutelata in quanto tale, come composto chimico, anche qualora essa si trovi, come una sorta di “residuo”, all’interno di un prodotto (ad es. la farina) che è il risultato della trasformazione del prodotto biologico (le piante di soia) nel quale la sequenza svolgeva la sua funzione (conferire la resistenza al glifosato).
L’Avvocato generale Paolo Mengozzi sostiene che il Dna brevettato è tutelato in quanto tale, cioè in quanto sostanza chimica, solo qualora esso svolga la funzione per cui è stato brevettato.
A suo avviso, soltanto in tale caso è tutelato anche il “materiale” in cui il Dna è contenuto. La direttiva, attraverso la considerazione della funzione svolta dal Dna, permette di distinguere tra la “scoperta” (ossia la semplice individuazione di una sequenza genetica senza che ne sia indicata una funzione) – che, in quanto tale, non brevettabile – e l'”invenzione” (ossia la scoperta corredata dell’indicazione della funzione), che invece lo è. Di conseguenza, tutelare la sequenza genetica in tutte le sue possibili funzioni, anche quelle non conosciute al momento della richiesta di brevetto, significherebbe riconoscere il brevetto per funzioni ancora ignote nel momento in cui lo stesso è stato richiesto, o, in altre parole, consentire la brevettabilità di una semplice scoperta, in contrasto con i principi in materia di brevetti.
Inoltre, dal momento che non è possibile conoscere fino a quale punto della catena alimentare e dei prodotti derivati possano essere ancora riconoscibili tracce dell’originario Dna della pianta geneticamente modificata, che pure non svolgono più alcuna funzione, la loro stessa presenza assoggetterebbe un numero imprecisato di prodotti derivati al controllo di chi ha brevettato la sequenza genetica di una pianta.
L’Avvocato generale ritiene dunque che la tutela garantita ad un brevetto relativo ad una sequenza genetica sia limitata alle situazioni in cui l’informazione genetica svolge attualmente le funzioni descritte nel brevetto. Ciò vale sia per la protezione della sequenza in quanto tale che per quella delle materie in cui essa è contenuta.
da AgricolturaItalianaOnline del 09.03.2010