La coltivazione di cannabis di Stato a fini terapeutici può creare in tempi brevi fino a 10.000 posti di lavoro. Sono questi i numeri diffusi dalla Coldiretti, a commento dei risultati del primo grande raccolto di cannabis terapeutica a Firenze.
Si parla molto nelle ultime settimane di legalizzazione della marijuana, dopo la proposta di legge di Benedetto Della Vedova presentata alla Camera il 15 luglio e cofirmata da 218 parlamentari. La questione della legalizzazione delle droghe leggere è difficile e controversa. Ma se si parla di uso esclusivamente terapeutico la situazione cambia. Ci sono molti pazienti in fase terminale o con patologie gravi (come Sla, Alzheimer, Parkinson e sclerosi multipla) per i quali l’utilizzo della cannabis è considerato utile per contrastare il dolore. I Ministeri della Salute e della Difesa hanno dato il via lo scorso anno a una grande coltivazione di piante di marijuana per uso terapeutico presso lo stabilimento chimico-farmaceutico militare di Firenze. I primi risultati, secondo la Coldiretti, sono incoraggianti: con il raccolto di 80 piante si sono ottenuti 130 grammi di principio attivo, contro i 30 grammi che si ottengono dalle normali coltivazioni.
È la stessa Coldiretti a dare una stima di quello che potrebbe essere a regime il mercato della cannabis terapeutica: un business da 1,4 miliardi in grado di creare una filiera da almeno 10.000 posti di lavoro. Secondo la Coldiretti “anche soltanto utilizzando gli spazi già disponibili nelle serre abbandonate o dismesse a causa della crisi, la campagna italiana può mettere a disposizione da subito mille ettari di terreno in coltura protetta. Si tratta di ambienti al chiuso dove più facilmente possono essere effettuate le procedure di controllo da parte delle autorità preposte per evitare il rischio di abusi. Il calcolo per difetto tiene conto della disponibilità di circa 1000 ettari di terreno, della produzione di sostanza secca di infiorescenze e foglie sommitali, del numero di cicli di coltivazione possibili all’anno e della resa in principio attivo che, secondo il Ministero della Sanità, viene attualmente importato con un costo di circa 15 euro al grammo. Parliamo dunque di un’opportunità che va attentamente valutata per uscire dalla dipendenza dall’estero e per avviare un progetto di filiera italiana al 100 per cento che unisce l’agricoltura all’industria farmaceutica. Una prima sperimentazione potrebbe aprire potenzialità enormi se si dovesse decidere di estendere la produzione in campo aperto nei terreni adatti“.
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