È stato presentato ufficialmente il 20 marzo 2014 il primo “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e nel sistema agroalimentare”, una nuova fondazione creata dalla Coldiretti che ha come presidente Roberto Moncalvo (il presidente della Coldiretti), come vicepresidente Gian Maria Fara (il presidente dell’Eurispes) e come guida del comitato scientifico il magistrato Giancarlo Caselli.
Lo scopo dell’ Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e nel sistema agroalimentare è promuovere gli approfondimenti e gli studi sul fenomeno delle agromafie, per aiutare le istituzioni e le forze dell’ordine nella lotta contro i fenomeni mafiosi nell’agricoltura e nel settore alimentare. L’Italia, patria del buon cibo e Paese leader mondiale per numero di prodotti alimentari certificati (Dop, Igp, Stg), è anche il Paese noto in tutto il mondo per lo strapotere delle mafie. Secondo l’ultimo rapporto Coldiretti / Eurispes sulle agromafie la mafia nel settore agroalimentare italiano è arrivata nel 2013 a un volume d’affari di 14 miliardi con una crescita del 12% in due anni, secondo la Direzione Investigativa di Roma circa il 15% del fatturato in agricoltura è riconducibile ad organizzazioni e attività illecite, e la Crisi – con una disoccupazione che sfiora il 13% e una disoccupazione giovanile oltre il 42% – non aiuta la lotta alle mafie: secondo i dati Coldiretti / Ixè il 60% dei disoccupati italiani sarebbero disposti ad accettare un lavoro in attività usate dalla criminalità organizzata per riciclare denaro (il 54% accetterebbe il lavoro a patto di non dover commettere direttamente dei reati, il 6% addirittura accetterebbe il lavoro in ogni caso). La criminalità organizzata nel nostro Paese (mafia, camorra, ‘ndrangheta) controlla (attraverso dei prestanome) almeno 5.000 tra bar e ristoranti e pizzerie, e in molte aree controlla la produzione e la distribuzione di latte, carne, mozzarella, caffè, zucchero, acqua minerale, farina, pane, burro, e soprattutto frutta e verdura, attraverso reati come l’usura, il racket estorsivo, i furti di attrezzature e mezzi agricoli, l’abigeato, le macellazioni clandestine, il danneggiamento delle colture, la contraffazione e agropirateria, l’abusivismo edilizio, il saccheggio del patrimonio boschivo, il caporalato, le truffe ai danni dell’Unione europea.
Limitando gli esempi ai soli primi due mesi del 2014, abbiamo avuto tra gli altri i seguenti casi emblematici: gli agenti della Dia di Caltanissetta hanno sequestrato beni per un valore di 45 milioni di euro tra cui 10 imprese, 25 fabbricati, e terreni agricoli per un’estensione complessiva di 150 ettari, riconducibili a un imprenditore siciliano che beneficiava di contributi pubblici erogati dall’Agea e che usava un terreno annesso ad una delle sue azienda agricole come riserva di caccia per i più noti esponenti della mafia; a Roma i Carabinieri hanno sequestrato 23 tra ristoranti, pizzerie e bar (tra cui il”Pizza Ciro” in via delle Mercede, tra piazza di Spagna e Montecitorio, il “Ciro & Ciro”, lo “Zio Ciro”, il “Pummarola e Drink”, il “Sugo” e la gelateria “Ciucculà” al Pantheon), riconducibili ai fratelli napoletani Salvatore, Antonio e Luigi Righi, ai quali viene contestato il concorso esterno in clan camorristico; la Dia di Palermo ha sequestrato immobili e aziende per un valore di 250 milioni di euro nell’ambito di un’operazione contro il clan dei Galatolo, che controllava il comparto ortofrutticolo locale monopolizzando di fatto il mercato attraverso la cooperativa “Carovana Santa Rosalia”, operante nella compravendita di merce, facchinaggio, parcheggio, trasporto e vendita di cassette di legno e materiale di imballaggio (in questo modo si poteva stabilire il prezzo dei prodotti ortofrutticoli a cui gli operatori dovevano poi uniformarsi e si poteva controllare tutto il trasporto delle merci da e per a Sicilia occidentale).
Combattere le agromafie significa anche combattere la vergognosa proliferazione in tutto il mondo di prodotti alimentari con nomi e slogan legati alla mafia, un fenomeno che danneggia l’immagine del Made in Italy autentico e dei produttori agricoli italiani onesti. Per esempio: le caramelle di “Candy Mafia“, lo snack “Chilli Mafia” (noccioline aromatizzate al peperoncino), la “Sauce Maffia” della Good ‘n Food (salsa a base di olio di colza, rosso d’uovo, aceto, senape, polvere di cipolla, zucchero e spezie), la “Sauce Maffioso” del marchio The Smiling Cook (a base di spinaci, cipolla, aglio, formaggio emmenthal, pepe rosso e aromi vari), la “pasta Mafia” a Taiwan, le spezie “Palermo Mafia shooting” in Germania, la salsa piccante “Wicked Cosa Nostra” in California, il “Caffè Mafiozzo” (con tanto di scritta “Lo stile italiano”) della Psc Start S.A. di Blagoevgrad (Bulgaria), il liquore d’erbe “Don Corleone” (a base di miscela d’erbe ed estratti naturali “product in Sicily”), l’amaro “Il Padrino”, i ristoranti “Mafia” in tutto il mondo, per esempio la catena di ristoranti “La Mafia” in Spagna (con murales alle pareti dei più celebri gangster, da Vito Cascio Ferro a Lucky Luciano ad Al Capone), i ristoranti e pizzerie “Cosa Nostra” in tutto il mondo, per esempio nel Minnesota, in Messico e a Sharm El Sheik.
(Luigi Torriani)