Torna la mucca pazza, con un nuovo caso negli Stati Uniti. Nel frattempo uno studio Telethon condotto all’ Istituto Mario Negri di Milano ha evidenziato per la prima volta il funzionamento del meccanismo tossico dei prioni, le proteine patogene responsabili della malattia. Mentre la Commissione europea rassicura i consumatori e non prende alcuna misura cautelativa rispetto alle importazioni i carne dagli Usa.
Tutto è iniziato nel 1986, con i prima casi di BSE (Bovine Spongiform Encephalopathy ) nel Regno Unito. Si è parlato da subito di “morbo della mucca pazza” per indicare questa malattia neurologica cronica e degenerativa, che colpisce prevalentemente le mucche da latte con maggior frequenza all’età di circa 5 anni (sintomi: alterazione del comportamento e maggiore aggressività dell’animale, deficit di movimento e di postura), e che può trasmettersi all’uomo attraverso il consumo di carne. All’inizio si pensava che la malattia fosse specifica della specie bovina, ma poi sono state scoperte, a partire dal 1990, delle forme morbose analoghe nel gatto e in alcune specie di felidi e di ruminanti selvatici di giardini zoologici inglesi, che erano alimentati con carni e mangimi con componenti di farine di carne ed ossa di ruminanti. Da qui lo sviluppo di sospetti sempre più forti sulla presenza di un legame tra la BSE e la somministrazione di farine animali negli allevamenti bovini inglesi, finché nel 1994 con decisione comunitaria le farine animali sono state bandite dall’aluimentazione dei ruminanti. Nel Regno Unito ci sono stati ad oggi circa 190.000 casi di BSE, con un picco nel 1992 (oltre 37.000 nuovi casi in un anno), mentre negli altri Paesi europei si va da poche unità ad alcune centinaia di casi per Paese (in Italia 142 casi accertati). Oggi si pensa che la crisi sia stata innescata dal riciclaggio del prione attraverso l’utilizzo di carcasse di bovini affetti da BSE nella produzione di farine di carne ed ossa destinate all’alimentazione animale, mentre per quanto riguarda l’origine della malattia fra i bovini la spiegazione mianstream è di tipo multifattoriale: l’aumento della proporzione di farine di carne che venivano usate nella dieta delle bovine da latte, il riciclo delle carcasse infette, le modifiche nella tecnologia di produzione delle farine a partire dal 1981-82, avrebbero innescato e favorito l’amplificazione fra i bovini di un agente patogeno non acnora perfettamente individuato e descritto.
Nel frattempo è uscita in questi giorni la notizia di un nuovo caso di mucca pazza in un allevamento della California, il quarto negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni, mentre in Europa – nel 2011 – sono stati identificati 28 casi, tutti tra animali anziani. Ma la Commissione europea, per il momento, non ha preso alcuna misura nei confronti dell’importazione di carne dagli Stati Uniti. Spiega Frederic Vincent, portavoce del commissario europeo alla salute John Dalli: “la Commissione europea non intende prendere alcuna misura particolare per quanto riguarda le importazioni dagli Usa’, e anzi è soddisfatta che il nuovo caso sia stato confermato nel quadro del sistema di sorveglianza continuo sulla Bse negli Stati Uniti, impedendo a questo animale di entrare nel circuito alimentare’. Peraltro dalla fine degli anni novanta, e in particolare dal 2000, l’Europa ha introdotto un arsenale di misure sanitarie per lottare contro la malattia della mucca pazza, l’encefalopatia spongiforme bovina (Bse). ‘Anche negli Usa c’è un sistema di controllo della mucca pazza. Nell’Ue abbiamo lo stesso sistema di controllo della Bse che funziona, quindi nessuna misura da adottare da parte nostra nei confronti degli Usa”.
D’altronde – spiega Coldiretti – chi non vuole correre rischi rispetto a questo ultimo caso di mucca pazza deve semplicemente selezionare le carni in base alla provenienza. Questo il comunicato stampa di Coldiretti: “dagli Stati Uniti sono stati importati nel 2011 solo 1,5 milioni di chili di carne bovina fresca, congelata o refrigerata che è identificata dall’etichetta sulla quale deve essere riportato obbligatoriamente anche il Paese di allevamento degli animali. A partire dal primo gennaio 2002 è entrato in vigore in Italia e in Europa un sistema obbligatorio di etichettatura che consente di conoscere l’origine della carne acquistata con riferimento agli Stati di nascita, di ingrasso, di macellazione e di sezionamento, nonché un codice di identificazione che rappresenta una vera e propria carta d’identità del bestiame e consente di fare acquisti Made in Italy. La Bse è scomparsa dagli allevamenti italiani per l’efficacia delle misure adottate per far fronte all’emergenza, come il monitoraggio di tutti gli animali macellati di età a rischio, il divieto dell’uso delle farine animali nell’alimentazione del bestiame e l’eliminazione degli organi a rischio Bse dalla catena alimentare”.
Proprio in questi giorni su Neuron è uscito uno studio Telethon guidato da ricercatori italiani che descrive per la prima volta il meccanismo tossico dei prioni nel morbo della mucca pazza, e che potrebbe essere un primo passo per la ricerca di cure. Spiega Roberto Chiesa, ricercatore di Telethon e dell’Istituto Mario Negri di Milano: “abbiamo studiato quello che succede nel cervelletto, l’area del cervello che controlla i movimenti, prima che inizi la degenerazione neuronale. Abbiamo visto che in corrispondenza dei primi deficit motori si ha un’alterazione nel rilascio di un particolare messaggero chimico cerebrale, il neurotrasmettitore glutammato. Questo perché, accumulandosi all’interno del neurone, la proteina prionica alterata ostacola il trasporto sulla superficie della cellula di un’altra proteina, un canale per il calcio voltaggio-dipendente, coinvolta nel regolare il rilascio dei neurotrasmettitori. Questo problema ‘di traffico’ è un meccanismo patologico del tutto nuovo che potrebbe essere alla base della disfunzione dei neuroni anche in altre malattie neurodegenerative in cui si osserva un accumulo di proteine alterate all’interno della cellula. E aver identificato i canali per calcio voltaggio-dipendenti come target del prione permetterà di pensare delle terapie che ripristino il funzionamento di questi canali, e quindi la corretta funzionalità dei neuroni. Questo è un campo ancora tutto da esplorare. Ripristinare il corretto trasporto dei canali per il calcio potrebbe comunque rivelarsi la chiave per evitare la degenerazione dei neuroni, ma naturalmente resta ancora molto da capire sui meccanismi con cui questo avviene.
(Luigi Torriani)