Continua il caro tazzina. Con il caffè al banco che arriva fino a un euro e oltre. A causa dell’aumento dei prezzi della materia prima, ma non solo. Intanto Coldiretti lancia la provocazione: perché non sostituire – a colazione – il classico caffè (di importazione) con la spremuta di arance (italiane)?
È da anni che il prezzo del caffé è in aumento. Nella primavera del 2008 c’è stato un rincaro all’ingrosso di circa quattro euro al chilo, poi un ulteriore aumento all’origine della materia prima del 40% nell’autunno del 2010 (con conseguenti ricnari al consumo). Ora destano scalpore i dati Istat sull’inflazione di novembre, che segnalano i prezzi di zucchero e caffè al consumo in aumento (record) del 17% rispetto allo scorso anno. Un aumento che è cinque volte più elevato rispetto all’andamento generale dei prezzi al consumo.
Alla base dei rincari – spiega Coldiretti – c’è prima di tutto, all’origine, un aumento del costo delle materie prime, aumento che sarebbe legato sia a fenomeni di speculazione internazionale sia al costante aumento della domanda (con relativa diminuzione della quantità disponibile all’esportazione) per l’ingresso sul mercato di nuovi Paesi fruitori (soprattutto Medio ed Estremo Oriente). Ma i problemi – spiegano da sempre i commercianti – sono anche altri. A pesare sono anche – al grado intermedio della filiera – i continui costi aggiuntivi relativi al lungo trasporto (il caffè viene importato da Sudamerica, Sud-Est asiatico e Asia) e a valle il costo dell’elettricità (la trasformazione del caffè da solido in liquido comporta un forte dispendio di energia elettrica, che pesa sulle casse dei baristi, già provate dalla crisi).
Diversa l’opinione delle associazioni dei consumatori. Già lo scorso anno l’osservatorio del Centro per i diritti del cittadino (Codici) aveva spiegato: “abbiamo pensato di fare due ‘conticini’. Al gestore del bar un chilo di caffè costa circa 15 euro, per una tazzina di caffè occorrono circa 6 grammi di caffè macinato. Procedendo con una semplice operazione aritmetica, si deduce facilmente che con un chilo di caffè si producono 166 tazzine per un costo di circa 0.09 centesimi ognuna. Questo è quanto dovrebbe costare un caffè al bar. A ciò aggiungiamo un forfait di circa 0.06 centesimi per i costi fissi di zucchero, usura della macchina per il caffè e 0.16 centesimi per la manodopera. Teniamo comunque presente che in genere insieme al caffè, il cliente consumerà anche altri prodotti da bar su cui possiamo spalmare i costi aggiuntivi sopramenzionati, compreso il costo del personale. Calcolatrice alla mano, il totale è pari a 0.31 centesimi. Di conseguenza pagare un caffè 0,85 centesimi risulta essere un costo eccessivo, considerando anche il brusco ribasso che hanno subito le quotazioni del caffè”. Nel frattempo il prezzo al consumo del caffè è in ulteriore aumento per adeguarsi all’incremento dei costi (di zucchero e caffè) per i commercianti. E i consumatori non ne possono più.
Parte da qui la provocazione di Coldiretti, da sempre in prima fila nella difesa del Made in Italy: perché a questo punto non sostituire il classico espresso (di importazione) con una colazione a base di sane spremute di arance (beninteso, italiane)? Questo il comunicato stampa: “l’aumento dei prezzi di caffè e zucchero potrebbe dunque portare a una modifica delle abitudini alimentari, specie a colazione, spingendo gli italiani verso alternative più salutari, come la spremuta di agrumi. Proprio in questo periodo entra nel vivo la stagione di arance, mandarini e clementine, con una produzione stimata di circa 2,4 milioni di tonnellate e una qualità che si annuncia ottima. Un’idea tanto più utile se si considera che una componente fondamentale delle arance è la vitamina C, importantissima per il potenziamento delle difese immunitarie in vista dell’arrivo dell’influenza stagionale. Il consumo di arance, mandarini e clementine ha importanti effetti positivi contro i radicali liberi prodotti dal nostro organismo nel periodo invernale, che finiscono con il far decadere dal punto di vista fisico e psichico l’organismo stesso. Invece di prendere sostanze multivitaminiche che vanno per la maggiore di questi tempi, una corretta assunzione naturale di vitamina C attraverso gli agrumi oltre a incidere molto meno dal punto di vista economico sulle tasche dei consumatori gioca un effetto migliore sulla salute e gratifica il palato. Le arance sono il secondo frutto, dopo le mele e prima delle banane, consumato dagli italiani. Se sommiamo alle arance i consumi di clementine, limoni e mandarini, possiamo tranquillamente dire che gli agrumi, nel complesso, sono il frutto fresco più presente sulla tavola degli italiani. Lo stesso discorso vale per i succhi di frutta, con il primato dei prodotti a base di arancia. Nel caso dei derivati esiste però il problema della mancanza di etichettatura trasparente. Infatti sulle confezioni non è ad oggi obbligatorio riportare la provenienza degli agrumi utilizzati nei succhi, ma anche nelle bibite, spesso a base di concentrati provenienti da migliaia di chilometri di distanza. Non solo, troppo spesso si trovano sul mercato prodotti poco trasparenti, le cosiddette bibite di fantasia, che ingannano il consumatore, soprattutto i giovani, sugli effettivi contenuti di questi prodotti, veri concentrati di zuccheri e aromi, ma poveri, se non privi, dell’effettiva presenza di agrumi nei loro ingredienti”.
(Luigi Torriani)