Si parla tanto negli ultimi anni degli RFID, le “etichette intelligenti” che sembrano in procinto di pensionare il tradizionale sistema del codice a barre. Anche il sistema agroalimentare sta iniziando ad adeguarsi alla rivoluzione in corso. Ed escono le prime pubblicazioni specifiche sull’argomento, tra le quali segnaliamo il volume “Logistica e tecnologia RFID” edito da Springer. Ma cosa sono queste tecnologie RFID di cui tutti parlano? Quali sono i vantaggi economici e le opportunità strategiche che offrono nella gestione della filiera alimentare?
RFID significa Radio Frequency IDentification, ovvero Identificazione a radio frequenza. Si tratta di un sistema di lettura senza fili in grado di identificare un oggetto attraverso dispositivi elettronici (TAG) che memorizzano i dati e rispondono alla sollecitazione a distanza di lettori a radiofrequenza comunicando le informazioni. I tag RFID sono in sostanza dei micro-chip dotati di micro-antenne che comunicano elettromagneticamente con lettori essi stessi muniti di antenna e posizionati a una distanza opportuna. L’antenna raccoglie il segnale proveniente dal lettore e trasmette immediatamente le informazioni sui prodotti ai quali è stata applicata. Le etichette in radiofrequenza sono alimentate da una batteria dotata di un’autonomia di mesi o anche anni (etichette in radiofrequenza attive), oppure per usi su brevi distanze traggono l’energia direttamente dal campo elettromagnetico (etichette in radiofrequenza passive).
Quali i vantaggi? Anzitutto si dispone di una quantità enorme di dati in uno spazio spesso inferiore al millimetro. Inoltre si possono ottenere in tempo reale tutte le informazioni sulla merce che si ha a magazzino. Compresa la merce che ha patito eventuali danni o manomissioni. E soprattutto con la possibilità – impraticabile con il codice a barre – di avere informazioni non solo a livello macroscopico (il cartone, il lotto) ma anche al livello microscopico di ogni singolo componente interno all’imballo. Senza ovviamente la necessità di aprire e di controllare all’interno dell’imballo stesso.
Poi c’è l’aspetto della tracciabilità dei prodotti che corrono lungo la filiera. Un aspetto che ha evidenti implicazioni dal punto di vista della sicurezza alimentare. Con le etichette a radiofrequenza si evitano infatti certe abituali soluzioni che lo teologia cattolica definirebbe tuzioristiche e che nondimeno sono economicamente disastrose (per quanto finora in certi casi inevitabili). In pratica: quando si ritiene che alcune partite alimentari siano in qualche modo contaminate o danneggiate (e quindi potenzialmente pericolose per la salute del consumatore) con la tecnologia RFID è possibile individuare le partite di alimenti in questione evitando di ritirare dal mercato l’intera linea di prodotti coinvolta.
Ci sono svantaggi? Per il momento uno: il costo. Che nel caso del codice a barre è prossimo allo zero, nel caso del tag RFID si punta ad arrivare (e si è ancora lontani dall’obiettivo) ai 5 centesimo al pezzo. E’ peraltro intuitivo che il sistema RFID funziona adeguatamente soltanto se l’intero canale distributivo si adegua alla nuova tecnologia e si munisce dei nuovi sistemi di identificazione, dall’operatore logistico ai singoli punti vendita. Questo potrebbe evidentemente rallentare la rivoluzione in atto.
Rivoluzione nella quale – incredibile dictu – l’Italia è partita in anticipo agli altri Paesi. Da una ricerca di Printonix risalente al 2005 emergeva infatti il seguente dato: il 38% delle imprese italiane dichiara che più del 50% dei colli e dei pallet ricevuti è dotato di tag, mentre la media europea si ferma al 26%.
(Luigi Torriani)