Il pomodoro, verdura regina della cucina italiana, che sempre più deve battersi però contro speculazioni e concorrenza sleale. Quali sono esattamente i problemi? E cosa chiedono insieme produttori e associazioni di consumatori?
La Coldiretti, in occasione della manifestazione di protesta organizzata dalle associazioni dei consumatori aderenti a Casper – Comitato contro le speculazioni e per il risparmio (Adoc, Codacons, Movimento difesa del cittadino e Unione nazionale consumatori), ha denunciato innanzitutto come nel passaggio da pomodoro a passata il prezzo rincari di quasi venti volte (+1.733%) con il prezioso ortaggio che viene pagato fino ad appena 5 centesimi al chilo agli agricoltori che lo coltivano nel Sud Italia. La protesta si è svolta davanti alla sede dell’Antitrust, ritenuta la principale responsabile delle distorsioni di filiera in questo ambitoe della concorrenza sleale a danno degli agricoltori e dei consumatori. Il fatto è che quest’anno il pomodoro nelle campagne del meridione viene pagato ai coltivatori fino al 29% in meno rispetto allo scorso anno per colpa di operatori senza scrupoli che approfittano del proprio potere contrattuale per sottopagare il raccolto, altrimenti destinato a marcire nei campi.
All’origine di tutto questo, la concorrenza cinese.
Nelle campagne si segnalano infatti ritardi, mancato invio dei mezzi di trasporto, “ricatti” commerciali e clausole vessatorie che costringono i produttori ad accettare prezzi vicini a quelli riconosciuti per il pomodoro cinese, nonostante un’annata caratterizzata da una produzione contenuta del 10% con ottime caratteristiche qualitative. A rischio per effetto dei comportamenti speculativi e delle distorsioni di filiera ci sono il reddito e l’occupazione di ben ottomila aziende italiane.
Ma il danno c’è anche per i consumatori che non beneficiano di nessun risparmio e che invece rischiano di pagare come italiano il concentrato di pomodoro importato dalla Cina i cui arrivi sono praticamente quadruplicati (+272%) in Italia negli ultimi dieci anni e rappresentano oggi la prima voce delle importazioni agroalimentari dal gigante asiatico. Il punto focale della questione è che in Italia, per Legge vige l’obbligo di indicare nei contenitori al dettaglio solo il luogo di confezionamento, ma non quello di coltivazione del pomodoro. Il quantitativo che sbarca in Italia dalla Cina è così in netto aumento senza che i consumatori ne siano a conoscenza e dovrebbe superare a fine anno i 100 milioni di chili, corrispondente al 15% della produzione di pomodoro fresco italiana destinato alla trasformazione realizzata in Italia.
Cosa chiedono dunque i produttori italiani tramite la Coldiretti? L’estensione a tutti i derivati del pomodoro dell’obbligo di indicare l’origine del pomodoro utilizzato nelle conserve, una stretta nei controlli sulle importazioni del pomodoro cinese, penalizzazioni per le industrie e le organizzazioni dei produttori responsabili di comportamenti scorretti, una più stringente definizione dei contratti e un marchio etico per il Made in Italy che li rispetta.
(Da www.italiaatavola.net)