Nell’ultimo anno, in Italia, sono scomparsi oltre 10 milioni di mucche, maiali, pecore, capre, galline, oche e conigli, e sono a rischio estinzione 130 razze italiane di mucche, asini, maiali, pecore e galline.
I dati sono stati diffusi il 6 febbraio da Coldiretti e Aia (Associazione italiana allevatori), in occasione dell’apertura della Fieragricola di Verona. In Italia nel corso del 2013 sono scomparsi oltre dieci milioni di animali da fattoria, e in particolare: 7 milioni di polli e galline, 750.000 tacchini, 700.000 conigli, 500.000 tra faraone, oche e anatre, un milione di pecore, agnelli e capre, 650.000 maiali, 45.000 manze e 25.000 bufali. Sono 130 le razze italiane allevate a rischio estinzione, tra cui 38 razze di pecore, 24 razze di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini. A preoccupare sono in particolare questi casi: l’asino romagnolo, usato nella produzione di latte per uso pediatrico e nell’onoterapia (ne sono rimasti soltanto 570 esemplari); la capra Girgentana, il cui latte è usato per produrre il formaggo ‘Tuma ammucchiata’ (ne restano circa 400 esemplari); la gallina di Polverara (poche decine di esemplari); la Mora romagnola, una razza di maiale dal mantello nerastro (poche decine di esemplari); i bovini di razza Garfagnina con mantello brinato e pelle di colore ardesia (145 esemplari); i bovini di razza Pontremolese (46 esemplari); la pecora di razza Alpagota (3363 esemplari).
In tutto questo non c’è soltanto un problema di biodiversità. Il comparto italiano dell’allevamento – un settore che vale 17,3 miliardi di euro (il 35% dell’intera agricoltura italiana) e che dà lavoro a circa 800.000 persone – è sempre più in balìa del falso Made in Italy e dell’importazione selvaggia di carne, un fenomeno contro cui stanno combattendo da tempo – per il momento invano – gli allevatori italiani, di recente con la cosiddetta “Battaglia di Natale del Brennero” e poi con la grande mobilitazione di Roma del dicembre 2013.
Dato che al momento in Italia non è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza del latte a lunga conservazione, né l’origine del latte di mucca, pecora o capra usato per produrre i formaggi formaggi, né l’origine delle carni di coniglio, pecora, capra e maiale vendute fresche o trasformate, sono sempre di più le aziende che importano carne di bassa qualità, e poi la rivendono confezionandola con marchio italiano (o importano latte o semilavorati come le cagliate, la polvere di latte, le caseine e i caseinati, e li usano per produrre formaggi da rivendere poi come “italiani”). Oggi l’Italia importa il 42% del latte che consuma, il 40% della carne di maiale, il 30% della ovicaprina e il 10% della carne di coniglio, e secondo la Coldiretti due prosciutti su tre spacciati per italiani sono in realtà prodotti con carne di maiali allevati all’estero, tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro sono stranieri all’insaputa del consumatore, e la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o con cagliate di importazione.
(Luigi Torriani)